Coronavirus, l’Italia ha la curva peggiore d’Europa: serve una regia condivisa

di Carlo Verdelli

Vero, non è come a marzo. È molto peggio. Allora c’era un Paese preso alla sprovvista che, pur pagando un prezzo alto, trovò una compattezza e una compostezza che ci valse la stima del mondo. Adesso, a parte il premier Conte (forse), non ci crede più nessuno che andrà tutto bene. E questa perdita di fiducia collettiva è l’effetto collaterale più grave di un devastante ritorno di fiamma del virus, certamente, ma anche di una tragica impreparazione sia a prevederlo che a gestirlo. Un’anestesista racconta, ed è una voce tra mille e mille: «Quello stanzone così pieno, tutti questi malati proni di cui non puoi neanche vedere i volti, 7 mesi cancellati, tutto troppo triste». Qualcosa di più che triste.

Il virus ci sta usando per riprendere slancio, per moltiplicarsi. Ha bisogno che i nostri corpi entrino in contatto con altri corpi, più siamo e meglio è. Per lui. Trasporti pubblici affollati, con la calca per infilarsi in un vagone della metro o sul predellino di un bus? Magnifico. Sciatori in coda per il primo weekend sulle piste? Perfetto. Spostamenti sui treni locali di gruppi di pendolari, per esempio verso Monza, dove c’è un picco tra i più preoccupanti? Benissimo così. Limitandoci all’Europa, il Sars-Cov-2 è risorto, le Borse affondano, gli Stati arrancano, il nostro purtroppo più di altri. E pensare che avevamo quasi vinto, almeno noi.

Il 2 agosto, contavamo 239 nuovi contagi e 8 morti. Eravamo in salvo. La cura italiana aveva funzionato. E allora, invece di lavorare come matti per rafforzare le difese, ci siamo messi a cantare e ballare, abbiamo rimandato di applicare il tanto che la prima ondata ci aveva insegnato, di colmare le mancanze strutturali che avevano contribuito allo sconquasso. Le gare per la fornitura di tamponi rapidi e per il potenziamento delle terapie intensive sono partite il 29 settembre e il 2 ottobre, quando i buoi erano già fuori dalla stalla, la burocrazia rallentava il rallentabile, e si lasciava che si spegnesse la già flebile sintonia tra governo centrale e Regioni.

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