Ergastolo al latitante Messina Denaro: “Fu tra i mandanti delle stragi del ’92”

La ricostruzione processuale ha svelato questo e altro.Ha messo in evidenza come Cosa nostra, decise l’azione stragista, prolungatasi fino al 1993, con l’obiettivo di compiere un golpe per stravolgere le istituzioni, dopo essersi resa conto che niente poteva accadere per annullare la sentenza del maxi processo di Palermo. Matteo Messina Denaro, conferma la sentenza della scorsa notte ebbe un ruolo nelle stragi di Capaci e Via D’Amelio dove in una mattanza di sangue vennero uccisi i magistrati Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e Paolo Borsellino e otto poliziotti che facevano parte delle loro scorte, Vito Schifani, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Emanuela Loi, Eddie Walter Cusina, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina. Mafia, operazione “Anno Zero”: le intercettazioni di Messina Denaro

«L’istruttoria di questo processo – dice il pm Gabriele Paci, procuratore aggiunto della Dda nissena – è stata difficile perché abbiamo fatto delle domande vent’anni dopo a persone a cui non avevano mai fatto domande del genere». Parole che suonano da forte richiamo a chi gestì le precedenti istruttorie giudiziarie. Nuove testimonianze e una rilettura di vecchi verbali, hanno consentito alla Procura nissena di aggiornare la leadership all’interno della cupola mafiosa siciliana e della mafia  trapanese.

Totò Riina e Matteo Messina Denaro, uno a fianco dell’altro, il secondo un frutto marcio, tale e quale a ciò che era già il primo.  I pentiti hanno raccontato di come Riina parlava di Matteo Messina Denaro «la luce dei suoi occhi». Il padre, don Ciccio Messina Denaro, il patriarca mafioso del Belice, lo mise nelle mani di Riina «e io l’ho fatto buono» – diceva in carcere non sapendo di essere intercettato  il capo dei capi corleonese- ricordando che il giovane Matteo Messina Denaro  «gli era cresciuto sulle ginocchia». Trapani, la Dia confisca di beni per 250mila euro al cognato di Messina Denaro

«Il protagonismo di Matteo Messina Denaro lo troviamo nell’intera stagione stragista – aveva detto nella requisitoria il Paci oggi reggente della Procura antimafia di Caltanissetta e tra i dieci candidati in corsa per l’incarico di capo della Procura di Trapani – e il suo nome è il collante tra diversi ambienti che si coagularono in quel periodo».

Mafia, massoneria, politica e servizi deviati. Nemico assoluto di Messina Denaro era in particolare Paolo Borsellino. «Borsellino da tempo era nel mirino di Matteo Messina Denaro – aveva ancora sottolineato nella requisitoria il pm Paci – perché poco prima delle Stragi aveva chiesto l’arresto del padre e per aver patrocinato la collaborazione di alcuni pentiti». «Per Matteo Messina Denaro, il magistrato Borsellino era colui che aveva scritto l’ordine di cattura nei confronti del padre, Francesco Messina Denaro, a cui viene sostanzialmente imposta la latitanza». Ma non solo. Il pm Paci durante il processo ha evidenziato una circostanza clamorosa: Borsellino nel 1990, da Procuratore Capo a Marsala,  aveva chiesto la sorveglianza speciale contro Francesco Messina Denaro, ma quella richiesta venne bocciata dall’allora collegio delle misure di prevenzione del Tribunale di Trapani (del quale faceva parte anche l’attuale procuratore di Enna, giudice Massimo Palmeri, assieme ai giudici Barracco e Miranda), mentre già don Ciccio si era dato irreperibile anche se contro di lui in quel momento non c’erano ordini di cattura. Capaci, 28 anni fa la strage. Mattarella: “Sacrificio di Falcone e Borsellino è eredità per voi giovani, siatene fieri”

Matteo Messina Denaro nel giugno 1986 firmò una lettera diretta ai Carabinieri, che avevano convocato don Ciccio in caserma, scrivendo che il padre si era allontanato da casa per motivi di lavoro senza lasciare detto dove cercarlo. Fu Matteo Messina Denaro, alla vigilia della strage del 19 luglio 1992, dove vennero massacrati Borsellino e gli agenti della scorta, a mandare i suoi sgherri a Trapani a prelevare dalle mani del capo mafia Vincenzo Virga il tritolo rimasto non usato per la strage di Pizzolungo del 2 aprile 1985, esplosivo di marca militare, destinato a uccidere l’allora pm Carlo Palermo e che fece strazio di tre vittime, Barbara Rizzo di 30 anni e dei suoi gemellini di 6, Giuseppe e Salvatore Asta. Lo stesso tipo di esplosivo che era comparso sulla scena dell’attentato al Treno Rapido 904, nel 1984 e nel tentativo di strage sugli scogli dell’Addaura davanti la casa di Giovanni Falcone, nel 1989. La rivelazione della figlia di Borsellino: “Ci fu un depistaggio dopo la strage di Via D’Amelio per allontanare la verità”

E infine nella strage di via D’Amelio a Palermo. La sentenza di oggi lo conferma. Matteo Messina Denaro latitante dal giugno del 1993 «è ben piazzato al centro di una strategia stragista alla quale ha partecipato con consapevolezza – sottolinea ancora oggi il procuratore aggiunto Gabriele Paci – dando un consenso, una disponibilità totale della propria persona, dei propri uomini, del proprio territorio, delle famiglie trapanesi al piano di Riina che ne fu così rafforzato e che consentì alla follia criminale del capo di Cosa nostra di continuare nel proprio intento: anzi, più che di consenso parlerei di totale dedizione alla causa corleonese.

Matteo Messina Denaro è già stato condannato all’ergastolo per le Stragi del 1993 a Firenze, Roma e Milano in cui morirono dieci persone, tra le quali, a Firenze in via dei Georgofili, due bambine Nadia e Caterina Nencioni, Nadia di 9 anni e Caterina era nata da appena due mesi.

LA STAMPA

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