Riecco l’incubo. Ma il futuro è un imprevisto

di MICHELE BRAMBILLA

Siamo passati dall’”andrà tutto bene” di marzo all’”andrà come in tutta Europa” di ieri (il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri in un’intervista al Corriere). Andrà come in tutta Europa, cioè – scusate il francesismo – un bel casino. I contagi schizzano, qualche ospedale comincia a essere in difficoltà, insomma il timore è quello di rivivere i giorni bui di questa primavera. Sembravamo esserne usciti, e invece. Ma com’è potuto succedere?
Azzardiamo tre risposte. La prima è che abbiamo abbassato la guardia troppo presto. Dopo la riapertura, siamo stati cauti per un paio di mesi. Poi, a partire da luglio-agosto, liberi tutti.

Da un punto di vista formale, cioè dal punto di vista dei decreti del governo, poco è cambiato dalle riaperture di maggio. Certo, è ripartita la scuola. Ma per quanto riguarda le aziende, i ristoranti, i bar eccetera, siamo alle regole fissate a partire dal 18 maggio. Solo che – ricordate? – in quei primi giorni di libertà quando si entrava in un ristorante ci si muoveva circospetti e sospettosi, ci si accomodava su tavolini a due posti con tovaglie di plastica che sapevano di Amuchina, camerieri in mascherina domandavano il numero di telefono e, alle coppie, un “siete congiunti?” da anni Cinquanta. E così nei bar. E così nei negozi. Perfino quelli della movida non sbracavano più di tanto. Compressi com’eravamo, in agosto abbiamo mollato tutto di colpo, e ora ne paghiamo il conto.

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