Non chiamateli bamboccioni

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di   Massimo Gramellini

Per uscire di casa, un giovane italiano ci mette dodici anni più di uno svedese. Leggo il rapporto Eurostat e cliché preconfezionati mi si proiettano in testa: il maturando Sven Larsson, arrotondata la borsa di studio con ingegnosi lavoretti, saluta senza particolare pathos il parentado e raggiunge in bici la nuova abitazione, mentre Luca Bamboccioni — trent’anni, una laurea, un master e zero redditi –— si stropiccia le occhiaie da pennichella e controlla i primi riccioli grigi nello specchio della cameretta in cui ha fatto tana dai giorni dell’asilo, sbuffando al richiamo della madre: «La pasta è in tavola!».

Nella vita vera le cose non stanno così. Sven ha alle spalle uno Stato che aiuta i ragazzi persino più dei vecchi, stendendo una rete di protezione che consente loro di mettere in pratica il verbo della giovinezza: rischiare. Luca B. alle spalle non ha nulla: non uno Stato, non una politica e nemmeno un’economia disposte a credere in lui. Ha solo i genitori.

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