Covid, contare i morti significa sentirli vicini

Da centomila al milione, i nostri cuori si sono solo induriti un po’.

Si può tentare una via diversa allora: rendere la pandemia locale, sparpagliare le vittime, ragionare sulla loro densità. Rispetto alla popolazione mondiale, i morti accertati di covid sono all’incirca uno ogni ottomila persone. Ecco che l’aritmetica ci riporta a qualcosa che sembra più vicino: ottomila sono gli abitanti del nostro comune, quelli del nostro quartiere; ottomila sono i membri di una comunità dove non ci conosciamo tutti per nome, ma almeno di vista sì. A morire è stata quella persona, te la ricordi? Sì, proprio quella, aveva dei figli, certo, aveva degli amici e un suo ruolo. È solo un trucco numerico, lo so. Come so che la distribuzione dei decessi non è affatto omogenea. Ma è un ragionamento matematico che vorrebbe diventare una proposta concreta. Perché la scala su cui ci conviene ragionare, forse, è proprio quella del quartiere, del municipio, una scala a nostra misura.

Ora che ci siamo faticosamente riorganizzati nelle nostre attività, ogni comunità ristretta dovrebbe assumersi il compito di ristabilire l’individualità dei suoi morti, commemorandoli pubblicamente. Sarà difficile nella realizzazione magari, proprio adesso che non possiamo radunarci, ma è anche necessario. Perché le morti di covid, quel milione, non sono morti strettamente private. Sono il nostro legame con un destino collettivo e noi abbiamo un bisogno disperato, per la nostra stessa salvaguardia, di ritrovare fra i numeri che si allargano, dentro quella fossa comune trasparente, i loro corpi e la loro umanità.

CORRIERE.IT

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