Il dopo Covid è un’occasione per rilanciare la scuola

Ci sfugge il rapido aumento della complessità che caratterizza la nostra vita sociale: l’elevato contenuto cognitivo dei mondi altamente tecnicizzati; la complessità culturale derivante dalla integrazione tra diverse aree del mondo; la difficoltà di riuscire a trattare l’enorme quantità di informazioni caotiche a cui siamo esposti. In questa situazione, mancare di una solida formazione di base e dei necessari percorsi di aggiornamento significa, come ha insegnato Bernard Stiegler, finire prigionieri delle nuove forme di proletarizzazione che producono la perdita di «saper fare», «saper vivere» e «saper pensare». In un mondo sempre più accelerato e tecnicizzato, la formazione delle persone è condizione per avere crescita economica, presupposto per rendere stabile la democrazia, antidoto per contenere l’odio e la violenza.

Se l’Italia oggi arranca è perché — dopo il grande salto compiuto con l’introduzione della scuola pubblica universale — sono ormai decenni che abbiamo smesso di investire nelle persone. Ora, la crisi del Covid ci porta a un bivio: o si sarà capaci di cambiare strutturalmente la rotta oppure il sistema scolastico (e non solo) collasserà. Il gran parlare, a volte un po’ surreale, di scuola non si esaurisca dunque col suono della prima campanella. Rispetto al tema formazione, dobbiamo recuperare una arretratezza più che decennale. Cominciando con tante realizzazioni concrete. Ma avendo anche il coraggio di osare pensare in grande. Come sono stati capaci di fare i nostri padri. Proviamo a pensarci: non erano forse degli autentici visionari coloro che hanno cominciato a immaginare la scuola obbligatoria per tutti quando solo pochi sapevano leggere e scrivere? In realtà, cio che serve è una nuova comprensione del significato della formazione in una società avanzata. Lo ha detto, a suo modo, il presidente Mattarella nel suo intervento per la giornata mondiale dell’alfabetizzazione. Termine bellissimo — fatto delle prima due lettere dell’alfabeto — che va interpretato nel suo senso più vero: che cosa serve per essere capaci di usare le tante lingue e i molteplici segni del nostro tempo e così diventare cittadini del mondo avanzato?

Non preoccupiamoci di avere subito tutte le risposte. Non rinunciamo, piuttosto, a porci domande ambiziose. Come vanno ripensate le scuole, soprattutto oggi dopo la pandemia, affinché riescano a diventare polmoni diffusi di conoscenza, luoghi di interazione col territorio, vettori di sperimentazione di un nuovo modello di sviluppo che sempre più è e sarà «on-life»? Come va riqualificato (e diversamente pagato) il ruolo docente affinché possa tornare a essere una figura di riferimento in grado di accompagnare le nuove generazioni a misurarsi con un mondo tanto complesso? Quali forme dovrà assumere un sistema organizzato e efficace di formazione continua, pilastro mancante nell’idea novecentesca di istruzione?

CORRIERE.IT

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