La fase nuova di Zingaretti e quella di Conte (che però assomiglia a quella vecchia)

Ecco, la fase è cambiata, perché il voto, amministrativo, locale, anche se “non si vota sul governo” è sempre, inevitabilmente un voto politico. Basta vederli e sentirli per capire il punto. Nicola Zingaretti, visibilmente sollevato, poco dopo le cinque, in conferenza stampa, traduce in linea, si sarebbe detto una volta, la spinta che arriva dalle urne. Anche il lessico è rinfrescato. Parla di “nuova agenda”, innovazione semantica rispetto a quando andava di moda il “tagliando” e la “verifica”, di un “patto per le riforme” e di un “cantiere per rinnovare il Pd”. Nuova agenda consiste, innanzitutto, nel mettere un punto fermo sulle grandi incompiute di questi mesi, i decreti sicurezza (già scritti nell’accordo di governo e sempre rinviati), da portare “al primo cdm utile” e il Mes, su cui chiede, quasi dandolo per scontato, al ministro Speranza di preparare i progetti.

Qualche decina di minuti dopo, al termine di un intervento, il presidente del Consiglio, anche lui visibilmente sollevato, mostra disponibilità alla prima sollecitazione, sia pur con cautela e senza avvertirne troppo l’urgenza, ricorrendo al classico repertorio dell’“approfondiremo”, ma comunque lo dice, “li porteremo al più presto al cdm”, parole nelle quali non c’è una scadenza e resta il margine per una dilatazione temporale. Mentre sulla seconda richiesta, che impatta in maniera più traumatica sulla crisi dei Cinque stelle, ci risiamo. La “nuova agenda” di palazzo Chigi assomiglia alla vecchia, fondata sul rinvio come metodo: vedremo, valuteremo, “non mi pronuncio” né con un sì né con un no.

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