La linea di separazione tra civiltà e barbarie

di Ernesto Galli della Loggia

In una celebre poesia dell’inizio del secolo scorso Kostantin Kavafis immaginava che la decadente civiltà europea aspettasse con ansia l’arrivo di una nuova forza vitale rappresentata dai «barbari». Ma invano: «…di barbari non ce ne sono più — concludevano i suoi versi — E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi? Era una soluzione quella gente». Kavafis in realtà si sbagliava, come sappiamo. Il Novecento infatti sarebbe stato popolato dai barbari come pochi altri periodi della storia europea. E di certo almeno quei barbari in nessun caso avrebbero rappresentato la soluzione di qualcosa. Oggi ancora i barbari sono intorno a noi. Quasi tra noi. Ma noi, mi sembra, noi italiani in particolare ma certo non solo noi ci rifiutiamo di vederli. Magari non ne attendiamo con ansia l’arrivo, questo no, ma ci culliamo nell’idea che non esistano, facciamo come se non esistessero. I barbari odierni si chiamano Putin, Lukaschenko, Erdogan, Xi Jinping, Assad , Khamenei, Kim Jong-un, Al-Sisi. Governano Stati quasi sempre grandi e potenti, e i loro tratti principali sono il cinismo e la spregiudicatezza con cui si muovono sulla scena internazionale all’unico scopo di allargare il proprio potere o di conservarlo a qualsiasi prezzo. All’interno dei propri Paesi arrestano, deportano, torturano, fanno sparire nel nulla, e non ci pensano un istante ad eliminare chiunque si opponga ai loro voleri. Tutti i mezzi sono buoni: dal campo di concentramento, ai gas asfissianti, ai centri di «rieducazione».
Il despota che governa la Russia ha riesumato con largo impiego perfino il medievale strumento del veleno. Il veleno per gli avversari politici: nel secolo ventunesimo, in Europa… Infine, se torna utile per estendere la propria influenza fuori dai confini, c’è sempre la tecnologia e il denaro. E così si manipolano i sondaggi e la comunicazione elettorale con l’hackeraggio, si pagano a peso d’oro i politici stranieri, si compra il loro voto, il loro tradimento degli interessi nazionali, li si trasforma in marionette guidate dall’estero. L’opinione pubblica occidentale è perlopiù disarmata di fronte ad azioni e fenomeni del genere. La reazione sua e dei suoi governi, pure quando c’è (ma ad esempio alla persecuzione di tipo genocidiaria della Cina ai danni del popolo uiguro, essa è praticamente inesistente) è però una reazione parziale, tardiva, piena di distinguo. Alla fine sempre inadeguata. Tanto è vero che quasi mai consegue un risultato apprezzabile e duraturo.

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