Franco Bruni: “Il potere economico mondiale vuole un ritorno dell’inflazione. Attenti, colpisce pensionati e dipendenti”

Tornerà l’inflazione? E per chi sarà un bene e per chi invece un male? In questi giorni molti operatori tornano a interrogarsi sulla possibilità che dopo tanti anni di tassi a zero o sottozero e di prezzi stabili o calanti, possa ricominciare la giostra dell’inflazione. Ad accendere la miccia è stato il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, che ha reso nota la nuova politica della banca centrale americana: lasciare che nei prossimi mesi o anni l’inflazione salga oltre il limite considerato fisiologico, ovvero il 2 per cento, senza intervenire: E già le aspettative degli operatori, misurate da precisi indici (il 5-Year5-Year Forward Inflation Expectation Rate, che misura le attese a 5 anni), sono cresciute sia in Usa che in Europa. “Sembra quasi che tutti attendano che torni l’inflazione per risolvere se non tutti, molti problemi”, spiega in questa intervista Franco Bruni, professore emerito all’Università Bocconi di Milano e vicepresidente dell’Ispi. “Ma l’inflazione è una brutta bestia, soprattutto quando – come dimostrano le esperienze del passato – se ne perde il controllo, cosa che in certe circostanze può avvenire facilmente. Eppure ci sono molte forze potenti nel mondo che spingono per questa soluzione, ma diciamolo con chiarezza: la maggior parte dei comuni cittadini avrebbe soltanto da perdere da un’inflazione accentuata, superiore al 2-3 per cento, che infatti è il limite che si sono date le banche centrali Usa ed europee”.

Professor Bruni, quali sarebbero le potenti forze che spingono per il ritorno dell’inflazione?

“Tutti i grandi debitori, il cui debito in termini reali diminuirebbe automaticamente se i prezzi aumentassero. Per fare un esempio semplice, se faccio un debito di 100 e dopo un anno il potere di acquisto di 100 euro si è svalutato del 5 per cento, perché i prezzi sono del 5% più alti, come debitore sono contento. Ovviamente i creditori no. I grandi debitori sono tutti i governi, che tra l’altro adesso hanno anche dovuto ulteriormente aumentare il loro debito pubblico per far fronte al Covid; e molti intermediari bancari e finanziari. Insomma, come vede, tutti i grandi protagonisti del potere economico mondiale”.

Se governi e finanzieri in tutto il mondo sono così interessati all’inflazione, perché in questi anni i prezzi sono rimasti sostanzialmente fermi? Eppure le banche centrali, comprese la Federal Reserve e la Bce, ci hanno provato in tutti i modi in questi anni, abbassando i tassi e immettendo liquidità nel mercato per aiutare un’economia tendenzialmente stagnante e far rialzare l’inflazione.

“Essendo stati anni di crescita difficile, i prezzi non sono saliti come ci si poteva attendere, come le banche centrali desideravano. L’associazione fra crescita e inflazione non è più come una volta. Anche per questo si sono rivelate inutili tutte le mosse delle banche centrali che anzi hanno creato altri problemi”.

Cos’è cambiato?

“Ci sono almeno due fattori che hanno modificato lo scenario. La globalizzazione è il primo. Glielo spiego molto semplicemente: è difficile far salire i prezzi da una parte del mondo se qualcuno, da un’altra parte, li fa scendere. L’inflazione è diventata un fenomeno mondiale, poiché tutti importano ed esportano nel mondo. Se ci sono cause specifiche d’inflazione in un paese o in un’area, l’interconnessione mondiale le smussa rapidamente. Faccio un esempio: se l’area Euro riuscisse a far salire i prezzi, basterebbe la loro discesa nell’Europa dell’Est a smussare l’inflazione”.

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