La paura di essere liberi

Oltre ai camaleonti ci sono i «sottomessi». In cuor loro, i sottomessi non ce l’avevano affatto con gli omosessuali quando imperava il tabù. Così come non credono oggi nell’ideologia del gender, del genere. Ma avevano paura ieri di dire come la pensavano e hanno la stessa paura oggi. Temevano e temono di essere disapprovati e eventualmente emarginati dai loro amici, da coloro che frequentavano e che frequentano e che (apparentemente) erano e sono entusiasti sostenitori delle idee del momento. Insieme, camaleonti e sottomessi rappresentano la truppa manovrata dai generali (la minoranza trainante). Grazie a loro si afferma un nuovo conformismo. I sottomessi però sono molto più interessanti dei camaleonti. Perché è grazie a loro che il conformismo eventualmente imperante verrà incrinato e alla fine distrutto. Basta infatti che un bambino gridi «Il re è nudo» (o l’equivalente del fantozziano «La corazzata Potëmkin è una boiata pazzesca») e il sottomesso si fa improvvisamente coraggio e dichiara (agli amici) che lui in quelle idee non ci crede proprio. Scoprirà con sorpresa che anche molti dei suoi amici sono d’accordo con lui. Anche lor, fino a pochi istanti prima, erano infatti dei sottomessi. È ormai rivolta aperta. Una parte della truppa si è ammutinata. Per giunta, a causa della rivolta in atto, sempre più camaleonti cominciano a pensare che lo spirito del tempo si stia indirizzando altrove e si preparano a disertare.

In questo quadro bisogna però introdurre due note di cautela. In primo luogo, non è affatto detto che l’adesione conformistica di molti a certe idee debba finire per contagiare l’intera società. Può essere benissimo, ad esempio, che le minoranze trainanti siano due, ciascuna con la sua truppa (composta da camaleonti e sottomessi al seguito) e fra loro contrapposte. È questo il caso, evidentemente, quando sono in discussione le questioni sessuali. Ma si pensi anche, ad esempio, per restare al caso italiano, agli atteggiamenti sull’immigrazione. È evidente che esistono due «squadre», ciascuna con la sua riserva di pregiudizi, stereotipi, frasi fatte, e ciascuna oggetto di ossequio conformistico da parte di certi settori dell’opinione pubblica. Da un lato,«non passi lo straniero». Dall’altro lato,«entrino, entrino a volontà, poiché essi sono gli ultimi e degli ultimi è il regno dei Cieli». In mezzo ci sono quelli, né camaleonti né sottomessi, che aspirerebbero solo a una sensata politica dell’immigrazione.

La seconda nota di cautela è che non bisogna scambiare coloro che aderiscono alle mode del momento, quali che siano, per persone stupide o comunque in grave deficit di razionalità. Gli umani, per lo più, hanno a cuore soprattutto sé stessi e le persone che fanno parte della loro ristretta cerchia parentale e amicale. Su ciò che riguarda la loro sfera personale sono spesso (anche se, ovviamente, non sempre) capaci di raziocinio e scelte ponderate e informate. Diverso è spesso l’atteggiamento verso i cosiddetti «affari pubblici» (intesi in senso lato) rispetto ai quali la disinformazione è assai diffusa. Per questo, come fanno i camaleonti, tante persone raccattano le prime idee circolanti che danno loro la sensazione di essere largamente condivise. «Se molti ci credono, deve essere una cosa giusta. Quindi devo crederci anch’io». Ma, nonostante le apparenze, non si tratta di irrazionalità. Semplicemente, su ciò che conosciamo poco (perché, in fondo, ci interessa poco) non possiamo fare altro che affidarci a stereotipi, slogan e frasi fatte (da altri). È questa la condizione di base di tutti i conformismi.

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