Il sultano vuole prendersi il Mare Nostrum

Poco dopo il Ministero degli Esteri greco ha detto che Atene non era disposta a subire alcun ricatto e ha aggiunto: “La Grecia difenderà la sua sovranità e i suoi diritti sovrani. Chiediamo alla Turchia di porre immediatamente fine alle sue azioni illegali che minano la pace e la sicurezza nella regione”.

Sui social media si sono scatenati i nazionalisti sia turchi che greci

Nella notte del 10 agosto, messaggi di utenti di account turchi, rivolti ad Atene, erano di questo tenore: “Siamo qui, dove sei?”.

Mentre dagli account di nazionalisti greci si leggeva: “10 milioni di leoni

[cioè gli abitanti della Grecia]

dietro di te contro 80 milioni di pecore [cioè gli abitanti della Turchia]”.

E per la prima volta un drone armato, SİHA, dell’esercito turco, è volato a distanza molto ravvicinata attorno all’isola greca di Rodi in segno di sfida.

ll governo turco accusa la Grecia di non aver mantenuto la promessa di risolvere la disputa sui confini marini a livello bilaterale, dopo il gesto di buona volontà dimostrato da Ankara con l’annuncio della sospensione per un mese delle trivellazioni nelle acque a ovest di Cipro per dar spazio ai negoziati diplomatici.

Infatti grazie alla mediazione della cancelliera tedesca Angela Merkel e a un intervento telefonico del presidente USA, Trump, i ministri degli Esteri greco e turco si erano accordati per rilasciare una dichiarazione congiunta e iniziare i negoziati bilaterali.

Tuttavia, il giorno prima della pubblicazione del testo della dichiarazione congiunta, Atene ha annunciato di aver firmato un accordo con l’Egitto sulla demarcazione dei rispettivi confini marittimi definendo proprie ZEE che si sovrappongono a quelle stabilite dall’accordo turco-libico e ciò ha provocato una forte irritazione di Ankara e ha determinato il crollo di ogni fiducia nei riguardi dell’interlocutore greco.

Perfino il capo della politica estera dell’UE Josep Borrell era rimasto stupito per la decisione della Grecia di stipulare un accordo con l’Egitto proprio mentre il governo tedesco cercava di far sedere attorno a un tavolo Ankara e Atene.

Il ministro degli Esteri greco Nikos Dendias aveva riferito ai media greci la scorsa settimana che l’intesa con l’Egitto sulle delimitazioni dei loro confini marini era avvenuta in modo del tutto repentino e che dunque non vi era stato il tempo di informare il governo tedesco. Insomma, quella di Dendias appariva come una risposta davvero imbarazzante: una vera e propria arrampicata sugli specchi.

Nel frattempo, la Grecia ha detto che avrebbe fatto richiesta di una riunione di emergenza del Consiglio per gli Affari esteri dell’Unione europea.

Il portavoce e consigliere del presidente Erdoğan, İbrahim Kalın, in una recente intervista televisiva aveva detto che l’accordo tra Atene e Il Cairo era stato stipulato per danneggiare gli interessi della Turchia e che si trattava di un ennesimo tentativo di escluderla dallo sfruttamento delle risorse energetiche del Mediterraneo orientale e di confinare le sue pertinenze marine al “golfo di Antalya”.

In sostanza il governo turco sostiene che è in atto un tentativo da parte dei paesi rivieraschi di isolare la Turchia delimitando la sua sfera di pertinenza marina entro 12 miglia dalle sue coste. Ma questo per Ankara è inaccettabile.

Ma qual è il principale motivo di disaccordo tra Grecia e Turchia? La divergenza deriva dalla disputa sulle aree marine delle isole prospicienti alla costa turca, ma appartenenti alla Grecia nel Mar Egeo e nel Mediterraneo.

Ankara riconosce che Atene ha il diritto di dichiarare una sua Zona economica esclusiva nella regione, ma insiste affinché prenda in considerazione anche gli interessi turchi e sostiene che la giurisdizione marittima di un paese continentale dovrebbe essere basata sulla terraferma e non sulle isole.

Ad esempio, il governo turco sostiene che la Grecia tratta la piccola isola greca di Kastellorizo come una propria area continentale e quindi fa valere per quest’isola il diritto ad una sua ZEE. Proiettando le linee costiere dell’isoletta di Kastellorizo sulla piattaforma continentale retrostante, la Grecia pretende così di avere diritto ad una area marina che si estende fino a 200 miglia di distanza dalla sua costa. L’effetto combinato delle misure calcolate dalla penisola continentale e dalle isolette sarebbe quindi di fare del mar Egeo un mare pressoché interamente precluso ai turchi, riservandone lo sfruttamento ai soli greci (ed agli stati rivieraschi che li fronteggiano) ben oltre il limite delle acque territoriali di 12 miglia, come stabilito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, UNCLOS.

Ma l’isola di Kastellorizo, di appena 10 km quadrati di superficie, si trova a soli 2 km dalla terraferma turca e a 580 km dalla Grecia continentale.

Dunque, a causa di questa piccola isola, la Grecia rivendica 40.000 chilometri quadrati di area di giurisdizione marittima e questo – sostiene il governo turco – è contrario al principio di equità e al diritto internazionale e chiede all’UE e agli USA di non assecondare simili pretese. ″Un paese che ha la costa più lunga bagnata dal Mediterraneo, di 1792 km, dovrebbe avere diritto una maggiore area di giurisdizione marittima″, ha detto Kalın.

Atene, in sostanza vuole rinchiudere la Turchia entro le proprie coste e impedirle di raggiungere il mare aperto escludendola così dalla partita energetica in gioco nella regione.

Ma Ankara vuole uscire dall’isolamento dovuto all’annosa disputa che la oppone a Grecia e Cipro e che la esclude dallo sfruttamento delle risorse di energia in corso nella regione a seguito di un accordo tra Repubblica di Cipro, Grecia, Israele stipulato il 2 gennaio 2020 per la costruzione di un gasdotto, EastMed, cioè di un collegamento sottomarino tra Cipro e l’isola greca di Creta, per trasportare gas estratto dai giacimenti scoperti nel Mediterraneo orientale ai mercati europei.

E lamenta anche di essere esclusa dal Forum del gas del Mediterraneo orientale (East Med Gas Forum) istituito il 16 gennaio 2020 al Cairo, una sorta di OPEC del gas nel Mediterraneo di cui fa parte Egitto, Grecia, Cipro, Italia, Israele, Giordania e Amministrazione palestinese.

Ankara ritiene che da questa intesa sarebbero danneggiati i propri diritti allo sfruttamento del fondale marino di sua pertinenza e quello della parte nord di Cipro, cioè dei turco-ciprioti.

Il ministro degli Esteri greco Nikos Dendias ha annunciato che venerdì, 14 agosto, avrà a Vienna un incontro col segretario di Stato USA Mike Pompeo per discutere della tensione insorta nel Mediterraneo.

È chiaro che la Turchia sta tentando una “escalation controllata” nelle zone contese del Mediterraneo orientale per dimostrare forza e risolutezza dopo che Egitto e Grecia hanno designato una Zona economica esclusiva per contrastare l’accordo tra Turchia e Libia.

Ankara adotta una strategia che possiamo definire come ‘’diplomazia delle cannoniere’’ in luogo della ‘’diplomazia dei leader’’ per forzare al negoziato il suo interlocutore.

La mente di tale strategia è stato l’ammiraglio in pensione Cem Gürdeniz con la sua dottrina della Mavi Vatan (della Patria Blu) che richiede una posizione turca più assertiva sui diritti marittimi. La Mavi Vatan è un’agenda politico-militare che suggerisce alla Turchia di adottare la ‘’diplomazia delle cannoniere’’ fino a proteggere in modo aggressivo i suoi confini marittimi nel Mar Nero, nel Mar Egeo e nel Mediterraneo orientale a tutti i costi e con tutti i mezzi. Secondo questa visione quei mari devono garantire alla nazione sicurezza e indipendenza energetica.

Il presidente Erdoğan aveva definito l’intesa marittima tra Grecia ed Egitto come un “accordo pirata” e aveva definito ” asse del male” quei paesi che nel Mediterraneo si sarebbero coalizzati per isolare la Turchia ed escluderla dalla partita energetica.

Dopo quarantotto ore da queste dichiarazioni e dalla spedizione di una flotta navale e area turca a largo di Cipro, mercoledì 12 agosto, Erdoğan ha lanciato un messaggio molto distensivo dicendo:

“Chiediamo a tutti i paesi del Mediterraneo di unirsi e di trovare una formula che sia accettabile per tutti”.

Queste parole sono state subito dopo rafforzate da una dichiarazione del ministro della Difesa nazionale Hulusi Akar che ha detto: “La Turchia vuole risolvere i suoi problemi con la Grecia nel dialogo del Mediterraneo orientale. Siamo a favore del diritto internazionale e delle ragioni di un buon vicinato”.

Ma ieri, 12 agosto, il presidente francese Macron ha alzato i toni e ha risposto con due tweet a muso duro alla Turchia con la quale ormai vi è una sfida continua su quasi tutte le criticità nel Mediterraneo, dalla Libia alla Siria e al Libano. “La situazione nel Mediterraneo orientale è allarmante. Il passo unilaterale della Turchia sull’esplorazione petrolifera provoca tensioni, ma queste devono terminare per consentire un dialogo pacifico tra i vicini e tra gli alleati all’interno della NATO. Ho deciso di rafforzare temporaneamente la presenza militare francese nel Mediterraneo orientale nei prossimi giorni, in collaborazione con i partner europei, compresa la Grecia“, ha twittato Macron.

La competizione per le risorse energetiche sorge nel mezzo di una più vasta crisi che riguarda le controversie territoriali decennali tra Turchia da una parte e Grecia e i greco-ciprioti dall’altra e dell’acuirsi delle tensioni politiche con l’Egitto dopo il rovesciamento del governo dei Fratelli Musulmani nel 2013.

L’accordo greco-egiziano è visto da Ankara come una rappresaglia per l’intesa sulla demarcazione marittima che Ankara aveva firmato a novembre con Tripoli. E sostiene che “non esiste un confine marittimo tra Grecia ed Egitto“ e che dunque quest’accordo è nullo.

È probabile che tale mossa influisca sul conflitto in Libia, dove l’Egitto ha appoggiato le forze orientali che combattono il GNA sostenuto dalla Turchia.

In altre parole, il punto critico della lotta per il potere tra Turchia ed Egitto potrebbe spostarsi dalla Libia al mare, dove la Turchia rischia di affrontare un blocco di paesi che include la Grecia.

Sarà interessante vedere ora se Atene e Il Cairo daranno vita a sforzi diplomatici e militari congiunti per contrastare la Turchia o se agiranno separatamente, o se Il Cairo lascerà da sola la Grecia a risolvere la controversia con Ankara.

Da quando la Grecia emerse come attore indipendente nella regione, dal 1820, il Mediterraneo orientale non ha mai visto un’alleanza militare greco-egiziana in azione contro la Turchia.

Negli ultimi sei anni, l’Egitto ha compiuto notevoli sforzi per rafforzare la sua Marina con l’obiettivo di diventare la principale forza navale del mondo arabo ed espandere la sua influenza nel Mar Rosso e nel Mediterraneo orientale e, soprattutto, proteggere il suo giacimento di gas sottomarino scoperto recentemente.

E, cosa più sorprendente, ha cercato di rafforzare la sua flotta di sommergibili.

Molti si chiedono se nel Mediterraneo orientale possa scoppiare una guerra.

Nel 1996, la Turchia e la Grecia arrivarono sull’orlo di un conflitto bellico per l’isolotto di Imia/Kardak e furono bloccate dagli Stati Uniti che erano già stati scottati dalla determinazione della Turchia a Cipro nel 1974, quando avevano creduto che si trattasse di un bluff, mentre invece Ankara intervenne militarmente.

E ora Washington sta operando intensamente dietro le quinte per condurre Ankara a più miti consigli. Ora ha maggiore interesse a farlo perché l’amministrazione statunitense, che è in campagna elettorale, deve proteggere gli interessi delle sue compagnie petrolifere a Cipro e nel Mediterraneo orientale e inoltre vi è da tener presente che la lobby greca nel Congresso degli Stati Uniti sta cooperando con le altre lobby anti-turche (comprese le lobby israeliana, armena e saudita).

Anche se vi sono segnali distensivi da parte turca, l’alta concentrazione di forze navali turche e greche nell’Egeo e nel Mediterraneo orientale rende possibile un’escalation militare anche solo per un errore.

L’HUFFPOST

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