Cappato e Welby assolti. Così i giudici ampliano il diritto al suicidio assistito

«Sono serena. Ieri notte ho pensato alla mamma di Davide Trentini, la mia battaglia è per lei. Se verrò condannata, voglio andare in carcere. Temo che mi diano i domiciliari. Allora protesterò perché se sono pericolosa voglio essere messa in condizione di non nuocere». Le cose sono andate in un altro modo.

Come Dj Fabo, anche Davide Trentini aveva chiesto aiuto. Era malato di sclerosi multipla dal 1993. Ogni mese le sue condizioni di vita peggioravano, fino a quando erano diventate un calvario. Mina Welby gli era stata accanto nel viaggio in ambulanza verso la Svizzera, Marco Cappato aveva raccolto i fondi necessari. Così, il 13 aprile 2017, in una clinica di Basilea, Davide Trentini aveva lasciato registrate queste parole come testamento da lasciare all’Associazione Luca Coscioni: «Basta dolore. La cosa principale è il dolore. Bisogna focalizzarsi sulla parola dolore. Tutto il resto è in più». Quel giorno aveva scelto l’eutanasia.

Ieri sera, tre anni e quattro mesi più tardi, le due persone che lo avevano sostenuto nei suoi convincimenti sono state prosciolte. Mina Welby ha detto: «Questa sentenza per me è come una stella cometa, che segna al parlamento quello che deve fare». Marco Cappato ha aggiunto: «È un precedente importante perché apre degli spazio di libertà per il fine vita. Ora però serve un legge per garantire a tutti questo diritto, a determiniate condizioni. Per poter essere liberi fino alla fine».

Se questa sentenza incide il pronunciamento della Corte Costituzionale del 2019, che così ha stabilito: «Non è punibile chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli». Cappato fa notare che la sentenza di ieri rafforza questo principio: «Davide Trentini non aveva sostegni vitali, cioè macchine. Ma probabilmente i giudici hanno interpretato in senso più ampio l’idea di sostegno vitale includendovi, come dicevano noi, anche terapie farmacologiche e pratiche manuali necessarie alla sopravvivenza». Resta inevasa l’indicazione della Consulta: «In attesa di un indispensabile intervento del legislatore…».

LA STAMPA

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