Carabinieri Piacenza, i gradi superiori ignoravano o chiedevano arresti a gettoni per le carriere

Gli accertamenti interni all’istituzione riguarderanno anche il comportamento del maggiore Papaleo, ma il livello delle verifiche non potrà non salire di grado. A partire dai tre comandanti provinciali che si sono avvicendati negli ultimi tre anni — i colonnelli Corrado Scarretico, Michele Piras e Stefano Savo —, che non risulta si siano mai accorti di ciò che accadeva alla Levante. Sopra di loro c’è il comandante regionale dell’Emilia Romagna: quello attuale, il generale Davide Angrisani, è arrivato un mese e mezzo fa; prima di lui c’era Claudio Domizi, ora al vertice della Scuola allievi ufficiali.

È con Bezzeccheri che il maresciallo a capo di un’altra Stazione parlava della necessità di «ridimensionare» i carabinieri della Levante. I due discutevano delle difficoltà emerse tra il maresciallo Orlando i suoi sottoposti finiti in cella, e Bezzecheri spiegava: «Non è che uno può abusare più di tanto, che a quello gli puoi mettere i piedi in testa… Bisogna trova’ il giusto equilibrio, cioè “Ci lasci in pace? Ci fai stare tranquilli? Ci fai stare sereni? E noi lavoriamo e ci divertiamo”. Però, diciamo, deve essere un contributo da entrambe le parti».

Il problema è che da altre intercettazioni emerge un rapporto diretto «di particolare confidenza» tra l’appuntato Peppe Montella (il capo dei malavitosi in divisa, secondo l’accusa) e lo stesso Bezzeccheri, il quale scavalcava il comandante della Stazione per spingere i suoi sottoposti a mietere più arresti che potevano. Si telefonavano, organizzavano incontri in ufficio e fuori («ti devo parlare urgentemente, a quattr’occhi, in borghese»), per affrontare quella che per il maggiore era diventata una sorta di ossessione: la competizione a chi riusciva a contabilizzare più catture con le Compagnie limitrofe di Bobbio e Rivergaro. «Perché io so’ fatto così Montè — diceva Bezzeccheri il 5 marzo scorso —, a Rivergaro e a Bobbio gli devo fare un culo così... È una questione di orgoglio, perché mi gira il culo che gente che rispetto a voi non vale un cazzo fanno i figurini col colonnello, col comandante della Legione, eccetera eccetera». Risposta di Montella: «Io adesso… Vediamo di farne il più possibile, anche prossima settimana, almeno di farne altre tre-quattro». Seguono elogi del maggiore: «Il massimo risultato col minimo sforzo».

L’indagine che li ha portati in carcere ha svelato il metodo con cui, nella ricostruzione dell’accusa, Montella e i suoi colleghi organizzavano gli arresti degli spacciatori. E l’unico carabiniere di Piacenza Levante non inquisito, Riccardo Beatrice, ne parlava col padre (carabiniere in pensione) per sottolineare: «Si gestiscono tra di loro… perché portano i risultati… a te colonnello ti faccio fare bella figura e ti porto un sacco di arresti l’anno! … Lavorano assai, ma perché?… C’hanno i ganci».

Sembra di risentire il «carabiniere pentito» del caso Cucchi, che a proposito dei colleghi condannati per il pestaggio disse: «Erano un po’ i pupilli del comandante, perché si volevano fare più arresti per farsi notare…». Anche Beatrice, tuttavia, che al padre denunciava atti falsi e «cose fatte a umma umma…», è rimasto muto con i superiori: «Adesso mi faccio i cazzi miei perché non voglio rimanere qua. Ma se dovessi rimanere qua… quel giorno.. salta tutto, salta!». Sono arrivati prima i magistrati, far saltare tutto; anche in virtù dei suoi silenzi.

CORRIERE.IT

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