Se i 27 litigano, affondano tutti

Per capire le disfunzioni di un progetto europeo malato «ab origine» basta esaminare alcuni dei punti su cui a Bruxelles si litiga e ci si accusa reciprocamente. Ieri ci sono volute parecchie ore per dirimere il contenzioso sollevato da un’Olanda che pretendeva di affidare non alla Commissione, ma al Consiglio Europeo – e quindi ai singoli Stati – il controllo sull’impiego dei fondi messia disposizione dal piano di rilancio. Il persistere di un simile contenzioso, 27 anni dopo la firma dei trattati di Maastricht e la nascita della Ue, fa capire come la struttura progettata dagli euroburocrati sia un mostro dalle troppe teste. Un vera e propria Idra in cui non si sa mai se a comandare sia la Commissione di Ursula von der Leyen, il Consiglio Europeo di Charles Michel, la presidenza collegiale attualmente nelle mani di Berlino o più banalmente le nazioni più decisioniste ed economicamente meglio in arnese come Francia e Germania. Nel mezzo di un simile caos decisionale dove la complessità burocratica è il miglior avvallo per un’eterna anarchia persino l’Italia giallo-rossa riesce a mimetizzare le proprie colpe. Certo esser governati da un esecutivo da barzelletta convinto di poter ottenere 173 miliardi fra donazioni e prestiti senza neppure spiegare per quali finalità verranno impiegati è alquanto triste. Ed è ancor più desolante l’ambiguità di un premier Giuseppe Conte incapace da mesi di esprimere una posizione chiara rispetto ai 36 miliardi del Mes. Ma alla fin dei conti nel mare di litigiosità, rinvii e ripicche che anche ieri ha sommerso i tavoli in cui si discuteva del rilancio europeo non sembriamo peggiori o più pericolosi degli altri. Di certo non più pericolosi di quei cinque paesi «frugali» (Olanda, Austria, Danimarca Svezia e Finlandia) convinti che affondare l’Italia, terzo contribuente dell’Unione e con lei la Spagna non sia un nefasto suicidio collettivo, ma il primo passo verso un’Europa migliore.

IL GIORNALE

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