l rischio della democratura

Si va avanti con la dottrina dei giustizieri della notte, si abolisce la prescrizione, consegnando gli imputati a una potenzialmente eterna presunzione di colpevolezza, cioè al preciso ribaltamento del postulato costituzionale, e si continua a fare i vaghi sull’autentico disastro della giustizia italiana: il più alto numero d’Europa di detenuti in attesa di giudizio, cioè di innocenti per mancanza di prova contraria, alimentato come debito pubblico dalla media di mille di noi – domani potresti essere tu, potrei essere io – arrestati ogni anno e successivamente discolpati. Successivamente a un soggiorno in cella.

L’assuefazione inibisce lo scandalo. Non ci importa. Ma il modo in cui trattiamo gli eletti, cioè i rappresentanti della volontà popolare, e la giustizia, cioè quello che dovrebbe essere l’insormontabile muro della nostra libertà personale, e dunque le due grandi roccaforti della democrazia liberale occidentale, dimostrano che la democrazia italiana ha già molto della democratura, la forma di governo teorizzata da Viktor Orbán: la democrazia illiberale. (A proposito: i paralleli fra Conte e Orbán proposti dall’opposizione non stanno in piedi e non aiutano a risolvere il problema. Lo stato d’emergenza, concluso in Ungheria ma la cui ripresa è nella disponibilità del governo, ha consentito a Orbán di legiferare su tutto, e per esempio di introdurre la reclusione a cinque anni per chi diffonda fake news, naturalmente a giudizio di Orbán medesimo, mentre Conte può soltanto varare atti amministrativi nell’ambito esclusivo della pandemia).

Capite perché un presidente del Consiglio che riproponga per sé altri sei mesi di arbitrio, e lo riproponga con un’enfasi inferiore di quella impegnata per i suoi rendez-vous a Villa Pamphili, ci suggerisca di rinviare la birra e di sollecitare una riflessioncina? 

L’HUFFPOST

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