La rassegnazione di Zingaretti

Ecco, il patatrac: “Il problema – è lo sfogo sussurrato dal segretario – non è che il Ponte va a Benetton, è che è finito e non è stato fatto niente. Io che dovrei dire adesso? Che lo avevo detto?”. In quel “l’avevo detto”, che è un moto dell’anima più che una linea, c’è un senso di amarezza, mista a rabbia, quasi di impotenza di fronte a un quadro diventato ingovernabile: “Sembra che tutti abbiano l’obiettivo di aspettare il semestre bianco, vedo più trame che governo, io le cose che dovevo dire le ho dette”.

Ed effettivamente non è l’unico se, a margine di un Consiglio dei ministri di qualche giorno fa, l’esperto Guerini ha fiutato la stessa aria: “Sento odore di rimpasto”. Inevitabilmente il sulfureo odore di manovra porta alle mosse di Franceschini, quasi come un riflesso condizionato, anche quando magari il ministro della Cultura ha intenzioni opposte. È così che la sua intervista a Repubblica dell’altro giorno è stata oggetto di un’esegesi come un testo della Sibilla. Di Maio ha raccolto una maliziosa interpretazione da qualche ex democristiano del Pd: “È il bacio di Giuda. Chi vuole sostituire il premier si pone come il suo più strenuo difensore, è una regola di scuola”. Al cronista l’eventualità non risulta, però il fatto va annotato sul taccuino alla voce “clima di sospetti”, che da tempo si registra nel Consiglio dei ministri. Sospetti tra singoli ministri, tra partiti, tra partiti e Conte, in particolare tra 5 stelle e Conte: “Ma come fa Conte a dire che è paradossale? – ha quasi urlato Buffagni – Prima ci mette davanti al fatto compiuto, siamo noi a dire che è paradossale”. 

Quanto possa andare avanti così non è dato sapere, né il “come”. È la più classica delle situazioni da rompete le righe, in attesa dell’evento che metta tutti davanti al fatto compiuto: “Così andiamo a sbattere a settembre, non può tenere se andiamo avanti così”. È questa l’analisi che Luigi Di Maio ha condiviso con qualche parlamentare. Con una postilla: “Io non capisco perché Conte non prenda una iniziativa e metta attorno a un tavolo i leader di maggioranza, in fondo sta a lui”. Anche Di Maio è attenzionato dai suoi colleghi, perché nessuno crede che aspetti solo il momento giusto per consumare la sua vendetta, con un nuovo Governo che archivi il Conte bis. “Sta come un lupo sordo” è l’immagine pugliese con cui Boccia ne ha immortalato, parlottando con quale amico, il fare sornione, la prudenza nelle dichiarazioni, l’aria di chi attende.

C’è solo un punto fermo in questa storia in cui tutto si avvita su se stesso, ed l’impossibilità di un rimpasto, perché toccare una casella significa sapere dove si inizia e non sapere dove si finisce: Zingaretti non ha alcuna intenzione di entrare nel Governo, anche se in parecchi nel Pd lo spingono in tal senso per “stabilizzare” e “dare il senso di una svolta”: “Nico’, è una trappola – gli ha detto Boccia – perché così ti incastri nel Governo e tra un anno ti si cucinano nel partito”. Ha trovato facile ascolto il ministro per gli Affari regionali, complice anche l’amarezza di questi giorni e il senso di quasi estraneità a quel che sta accadendo, che non gli piace, ma non riesce a cambiare. Neanche la legge elettorale si riesce a fare. E, ripartito da Oriolo, resta in un’altra dimensione: “È stato come attraversare decenni di storia del nostro paese, grazie Sergio, è anche così che si rendono più ricche le nostre vite”.

L’HUFFPOST

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