I difficili rapporti con gli Stati Uniti

Quando è arrivato Trump, col suo nazionalismo, la sua insofferenza per le istituzioni multilaterali (costruite proprio dagli Stati Uniti dopo il 1945), la sua guida confusionaria e confusa, c’è stato un rigetto generalizzato per la sua Amministrazione (stando ai sondaggi, il consenso per Trump è sempre stato piuttosto basso anche fra i conservatori). Ciò è risultato vero in tante parti del mondo. Ma è fra gli europei, i tradizionali e fedeli alleati degli Stati Uniti, che il ciclone Trump ha prodotto, sul piano del consenso, gli effetti più devastanti. Limitandoci ai risultati di un sondaggio recente (gennaio 2020), Trump riceve meno consensi dei leader cinese e russo in tanti Paesi. Ma l’aspetto più singolare è questo. Mentre la sfiducia per Trump è generalizzata, resta alta, per lo più, la fiducia negli Stati Uniti. Tranne in Europa dove, ad esempio, l’apprezzamento per gli Stati Uniti non supera il 46/45% in Svezia e Paesi Bassi e scende sotto il 40% in Germania. Forse il risultato più impressionante riguarda l’opinione pubblica italiana. Apparentemente l’ideologia sovranista ha conquistato una larghissima fetta di italiani. Secondo un sondaggio Demos del maggio 2020, solo il 31% di italiani dichiara simpatie per gli Stati Uniti mentre è cresciuta la fiducia nei confronti della Cina (26%) e della Russia (28%). Si aggiunga la crescente ostilità nei confronti di Francia (75% di antipatizzanti) e Germania (71% di antipatizzanti) e, più in generale, nei confronti delle istituzioni dell’ Unione Europea (secondo un altro sondaggio recente, in Italia la fiducia nelle istituzioni europee sarebbe ormai molto al di sotto del 50%). Ribadita l’avvertenza che tutto ciò non è Vangelo, è chiaro il messaggio: sicuramente una sconfitta di Trump farebbe di nuovo salire la fiducia europea negli Stati Uniti ma nel Vecchio Continente, e da noi in Italia forse più che altrove, una porzione non proprio irrilevante dell’opinione pubblica continuerebbe ad apprezzare le dittature (Cina) e le autocrazie pseudo-democratiche (Russia) e non avrebbe alcuna remora a prendere congedo dal mondo occidentale per abbracciare l’una o l’altra variante del dispotismo asiatico.

Se Biden andrà alla Casa Bianca, di sicuro il confronto/scontro con la Cina proseguirà. Cambierà però la politica americana verso l’Europa, l’America ricomincerà ad investire politicamente sugli alleati europei. Ma, attenzione, la fine dell’antieuropeismo trumpiano (e degli ambigui rapporti fra Trump e Putin), potrebbe fare risalire la tensione fra la Nato e la Russia. La Russia sarebbe costretta a prendere atto del fatto che «l’America è tornata» e che il tempo di spadroneggiare in Medio Oriente nonché di intimorire gli europei sfruttando la disattenzione e l’inazione americane è finito. Ciò sarebbe sicuramente rassicurante per molti governi europei. E avrebbe anche, presumibilmente, ricadute positive sulle opinioni pubbliche. Ma sarebbe sufficiente per fare scomparire di colpo certe diffuse simpatie (non solo italiane) per la Cina e per la Russia? Non è probabile. La prosecuzione della rivalità fra America e Cina e le nuove tensioni russo-americane potrebbero inasprire in Europa i conflitti fra filoamericani (forse di nuovo in maggioranza) e antiamericani (che rimarrebbero comunque, una significativa minoranza).

Se non che, le democrazie possono tener a bada le potenze autoritarie, contrastarne i peggiori istinti, solo se si mostrano sufficientemente unite, se riescono a contenere le proprie divisioni interne, se non lasciano agli autocrati che guidano quelle potenze la tentazione di sfruttarle. Anche se in modo diverso da oggi, dopo una eventuale (e, almeno per chi scrive, auspicabile) sconfitta di Trump, i rapporti fra Stati Uniti ed Europa potrebbero rimanere difficili.

CORRIERE.IT

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