Il gran mercato nel suk del Senato (tra chi cerca un posto migliore)

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La mappa di tutti i cambi di casacca

L’arrivo di Carbone è comunque salutato con euforia da Italia Viva, che così passa da 17 a 18 senatori. Non solo: gira voce che addirittura altri due forzisti sarebbero ad un passo dall’iscriversi al partito di Renzi. Che nei sondaggi però continua a restare inchiodato al 3% — qualche volta scivola persino sotto — e allora verrebbe da chiedere a questo Carbone: scusa, ma chi te l’ha fatto fare?
Carbone cincischia, risponde da statista, la spiega con una mezza crisi di coscienza, dice che non se la sentiva più «di stare al fianco dei sovranisti». L’operazione, intanto, si presta ad almeno due letture: in teoria dovrebbe rafforzare Giuseppe Conte, in realtà aumenta il potere d’interdizione di Renzi sul governo.
Del resto è chiaro che con un esecutivo così traballante, rischiamo di dover stare qui con il pallottoliere per tutta l’estate. Potenzialmente, l’aula di Palazzo Madama potrebbe infatti essere chiamata a una serie di voti assai complicati: prima il «decreto rilancio», poi il «decreto semplificazione», di certo il 15 luglio Conte sarà qui per la relazione che precede ogni Consiglio europeo (e il rischio, dicono, è che Emma Bonino decida di piazzargli una risoluzione a favore del Mes), infine c’è il problemone del voto sul cosiddetto «scostamento di bilancio».

Annusata l’aria del suk, Andrea Marcucci, capogruppo Pd, avverte: «Eviterei di votare lo scostamento di bilancio a fine mese. Statisticamente, è il periodo dell’anno con più malattie di stagione, qui al Senato». Tradotto: rischiamo di non avere i numeri. Federico D’Incà, il ministro per i Rapporti con il Parlamento, fa quello sicuro: «Abbiamo una maggioranza ben superiore ai 161 voti necessari». Conta pure i 6 senatori a vita (ma tre non votano quasi mai), i 6 di Autonomie, e i 14 del gruppo Misto-Leu (dove però siedono anche tipi dal comportamento imprevedibile, come Tommaso Cerno, passato dal Pd a IV, e poi da lì venuto via urlando).
Pier Ferdinando Casini (già perfettamente abbronzato): «Che noia, questi numeri. Tanto uno entra, uno esce…». Intanto è già uscita, per entrare nella Lega, la grillina Alessandra Riccardi. E sarebbero pronte a seguirla in due: Marinella Pacifico e Tiziana Drago (Mattia Crucioli verso il Misto). Salvini, del resto, l’aveva detto: «Ho la fila».

«È così: molti chiedono di venire con noi», racconta Gian Marco Centinaio, ex capogruppo, ex ministro, uno di quei politici che, se dice una cosa, ci si può fidare.
Sono tutti grillini?
«In gran parte, sì. Ma non mancano i forzisti».
I grillini sono quelli con più guai.
«Beh: molti sono alla seconda legislatura, e la terza gli è vietata. Poi tutti sanno che a settembre ci sarà il referendum sul taglio dei parlamentari, una sfoltita importante, in un partito che è arrivato qui, alle ultime politiche, con il 32 %, e che oggi, se va bene, sta alla metà».
Cosa vi dicono?
«L’altro giorno una mi fa: vorrei proprio passare con voi, ma se avete intenzione di andare a votare, resto nel Movimento. Sono sincera: io voterei la fiducia a Conte e anche a Stalin, pur di farmi altri tre anni di Parlamento».
Questi li scartate.
«Non siamo l’Arca di Noè. Ma, soprattutto, chi arriva da noi deve avere un passato cristallino…».

È un’allusione a Carbone, amico della famiglia Cesaro?
«È un’allusione. Ma a chi, non glielo dico».
Dalla buvette, a questo punto, viene fuori un senatore che sa sempre un mucchio di cose. Di solito ci mette la faccia: oggi però preferisce ritagliarsi il ruolo di «fonte», ora sta andando a una colazione di lavoro, più tardi è disposto a spiegare cosa sta succedendo nel partito del Cavaliere.
Succo della telefonata di tre ore dopo: «Il mercato di FI ha tre banchi. Quello della Ronzulli: che ha promesso a pochi fedelissimi un paracadute leghista. Poi c’è chi aspetta che alle regionali il partito imploda, per cercare di costruire una nuova forza di centro. Nel mezzo, c’è una folla di gente che non sa che fine farà. Il Cavaliere, intanto, osserva. Lui ha solo una preoccupazione: garantire pubblicità alle sue reti televisive».
E’ sempre una pena venire qui a Palazzo Madama, in questo luogo sacro della Repubblica, della democrazia, e trovarlo ridotto così.

CORRIERE.IT

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