Imprenditori e politica: meglio più distanti

Preciso, a scanso di equivoci, che non immagino che una simile decisione possa essere presa dall’attuale leadership di Confindustria. Il presidente in carica, Carlo Bonomi, è uomo di Assolombarda. Difficilmente potrebbe fare una mossa che verrebbe male interpretata dai malevoli, forse anche all’interno del mondo confindustriale. Però, anche se non di immediata attualità, il tema è rilevante: non sarebbe male se gli industriali cominciassero a valutarne i pro e i contro. Magari facendone argomento di confronto interno al momento del prossimo rinnovo dei vertici dell’associazione.

Che cosa significa essere fisicamente contigui ai luoghi della decisione politica e dell’amministrazione? Non significa soltanto avere contatti quotidiani con amministratori, politici, esponenti di altre organizzazioni di rappresentanza di interessi (in primis, i sindacati) o essere sempre presenti per poter influenzare i dossier che più interessano. È ovvio che questo sarebbe comunque possibile anche se la sede principale di Confindustria fosse spostata a Milano. Anche in tal caso, infatti, l’associazione manterrebbe uffici nella Capitale e un personale adibito a fare quanto ha sempre fatto.

La perdita di capacità di influenza spicciola sarebbe piuttosto legata a uno spostamento dell’asse territoriale. Una Confindustria con la «testa» a Milano diventerebbe, plausibilmente, prima o poi (e forse più prima che poi) una Confindustria diversa da quella fin qui conosciuta. Lo spostamento dell’asse territoriale comporterebbe un mutamento di mentalità, una crescita della distanza, psicologica e culturale, dal potere politico- amministrativo. Un effetto forse persino immediato sarebbe quello di rendere Confindustria meno appetibile per quelle imprese nominalmente private che vivono di sussidi pubblici, che hanno bisogno come dell’aria della contiguità con il potere politico.

La maggiore capacità di diventare – certo non immediatamente, ma nel medio termine – un forte contro-potere (a compensazione della minore capacità di influenza spicciola sulla politica e sulla amministrazione) dipenderebbe anche dal fatto che Confindustria acquisterebbe maggiore credibilità, si libererebbe di quegli industriali che tante volte in passato hanno preferito procurarsi rendite colludendo con il potere politico piuttosto che assumere rischi di impresa, che hanno preferito la protezione pubblica alla concorrenza, la garanzia di sopravvivenza in acque stagnanti ma protette alla competizione nelle acque agitate del mercato ove vivere significa innovare e rischiare. Quanto più metti ordine in casa tua tanto più potente e credibile diventa il tuo messaggio quando denunci gli altrui comportamenti scorretti o inadeguati.

Quali vantaggi ci sarebbero per il Paese? Il principale vantaggio è che una Confindustria più forte, impegnata senza sbavature e senza tentennamenti nella difesa dell’economia di mercato dalle intrusioni del potere politico, sarebbe un bene per la collettività , almeno dal punto di vista di chi pensa che senza una forte economia di mercato un Paese non possa avere alcun futuro.

Ma c’è anche un’altra ragione. Una Confindustria contro-potere aiuterebbe anche la democrazia italiana a liberarsi di certi persistenti tratti illiberali, quelli che spingono importanti settori della classe dirigente e dell’opinione pubblica a pensare che la democrazia debba essere il luogo dell’armonia corporativa, della collusione e della confusione fra i poteri (istituzionali, economici e di altro tipo) anziché dei conflitti aperti, chiari, visibili, in grado poi di generare compromessi fra le parti altrettanto chiari e visibili.

Tanto l’economia di mercato quanto la democrazia liberale soffrono quando i contropoteri sono deboli. Spostare la sede di Confindustria da Roma a Milano non sarebbe ovviamente la panacea di tutti i mali. Non sarebbe il colpo di bacchetta magica che fa scomparire contemporaneamente i vizi dell’economia e quelli della politica. Ma sarebbe un primo, piccolo passo.

CORRIERE.IT

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