Stati Generali? No, Stati Nervosi d’Italia

di Marco Damilano

Più che Stati Generali si sono rivelati Stati Nervosi, quelli di cui ha scritto un anno fa il sociologo inglese William Davies a proposito della situazione delle opinioni pubbliche occidentali. La sfiducia, la frustrazione, la rabbia dei cittadini che nell’ultimo decennio hanno alimentato le leadership populiste e i movimenti sovranisti, negli Stati Uniti e in Europa e in Italia. Le nevrosi individuali che diventano collettive, a partire dalla paura.

La paura è la protagonista di un singolare esperimento compiuto da un’agenzia di comunicazione che ha fatto ascoltare durante i focus con il pubblico la voce di alcuni leader politici italiani, chiedendo ai partecipanti di indicare chi fosse e quale sentimento scatenasse.

La voce di Giuseppe Conte è stata immediatamente riconosciuta dalla quasi totalità degli intervistati e associata dal punto di vista emotivo alla paura. È il lascito dei mesi di lockdown, quando il premier si affacciava in tv alle otto di sera (alle 20.20), ma anche alle due e mezza del mattino, per portare qualche brutta notizia: chiusure, isolamento, confini sigillati tra le regioni, necessità di contenere il contagio. La paura e la richiesta di protezione. Un anno fa questo sentimento giocava a favore di Matteo Salvini: i decreti sicurezza, il blocco degli sbarchi, la legittima difesa. Oggi spinge per far volare nei sondaggi la figura del presidente del Consiglio, il PdC, il partito di Conte. La rassicurazione, l’affidarsi a un potere che si presenta come benevolo. E la risposta allo stato di emergenza. È lo stato cui si è associata la figura di Conte. Che è la sua forza, ha raccolto fiducia e consenso, ma anche il suo limite, di un politico che ha bisogno di un’emergenza continua per riaffermare la sua leadership. Prima l’emergenza sanitaria, ora quella economica.

È questa esigenza di tenere il momento in tensione che spiega l’interminabile Concilio di Villa Pamphili, blindata dalle forze dell’ordine, il reality show più lungo dell’era post-covid, con le stesse regole dell’originale Grande Fratello: porte chiuse, giornalisti fuori, immagini dall’interno suggestive e fastose, rilanciate dal sito del governo, l’ufficio immagine, il minculpop soft che regna a Palazzo Chigi.

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