Il tassello che manca ai pm: le pressioni del sindaco Gori

Per capire la situazione bisogna fare un passo indietro partendo dalla lista dei sostenitori bergamaschi di Gori per la campagna elettorale, che l’ha portato sulla poltrona di primo cittadino. Non pochi gli imprenditori o persone vicine come Grazia Flaviani, moglie del patron della Brembo, Alberto Bombassei, che dona 50mila euro. Tagli di 10mila euro per la Persico, proprio di Nembro, la Azotal di Bergamo e altre società. In tutto si arriva ad un ragguardevole finanziamento di 250mila euro.

Non è un caso che il sindaco, dopo i primi provvedimenti della regione Lombardia, sposi la linea della sottovalutazione postando su Facebook l’uscita a cena con la moglie Cristina Parodi. E soprattutto aderendo alle campagne della Confindustria locale e della Confcommercio che sottovalutano il virus. Lo slogan adottato dal sindaco, con tanto di video rassicurante e colonna sonora dei Pinguini Tattici nucleari, è «Bergamo non si ferma». Il 28 febbraio Gori scrive su Facebook, che «600 NEGOZI lanciano il weekend di shopping in città: saranno TUTTI APERTI SABATO E DOMENICA () il problema Coronavirus non è superato, ma #Bergamononsiferma».

Il 5 marzo sostiene che pur seguendo le prescrizioni «non c’è motivo per non uscire di casa». E sottolinea che sono aperti pure i musei. Di fatto boccia pubblicamente la zona rossa sapendo bene che stanno arrivando i rinforzi: «Questa situazione ci sta danneggiando più del necessario».

Tra le piste al vaglio della procura di Bergamo, che indaga sull’ipotesi di reato di «epidemia colposa», è sempre più consistente quella degli industriali che fanno pressione sui politici per evitare le zone rosse.

L’interrogazione della Lega in Consiglio comunale ricorda come il sindaco «promuoveva la campagna Bergamo non si ferma al fine di spingere la gente a recarsi in città e a frequentare bar e ristoranti». E nonostante gli allarmi già lanciati dagli esperti a livello nazionale e regionale «riprendeva il messaggio di Confindustria Bergamo», che sminuiva i pericoli. I leghisti Enrico Facoetti e Stefano Massimiliano Rovetta scrivono nell’interrogazione che «da più parti si fanno ipotesi su possibili interventi che il mondo imprenditoriale orobico () avrebbe esercitato ad inizio marzo sugli organi politici per evitare l’istituzione della zona rossa». E ricordando i fondi degli imprenditori per la campagna elettorale di Gori chiedendo se ha fatto pressioni sul «governo nazionale o i parlamentari del suo schieramento politico al fine di dissuadere l’istituzione della zona rossa di Alzano e Nembro».

Solo l’8 marzo, quando il governo fa ritirare i rinforzi abbandonando l’idea della chiusura mirata e totale trasformando la Lombardia in una più vaga «zona arancione», Gori fa mea culpa e cambia rotta. «La situazione è molto SERIA. La diffusione del Coronavirus ha avuto un’accelerazione negli ultimi giorni – scrive su Facebook -. Adesso dobbiamo stare a casa il più possibile. Uscire il meno possibile, incontrare meno persone possibile».

IL GIORNALE

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