Patrizio Bianchi, coordinatore del comitato di esperti del Miur: ‘ecco come sarà la scuola del futuro’

Ci sono diversi organismi che stanno lavorando in questo momento: c’è il Comitato Tecnico-Scientifico della Protezione Civile presso la Presidenza del Consiglio, che ha fornito norme di sicurezza sanitaria, come il metro di distanza, a suo tempo disposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Poi ci siamo noi, che ricevendo il dato nazionale lo abbiamo declinato in un documento intermedio per il Ministro, il 27 maggio.

Il nostro comitato è un organo di consulenza del ministro, per far sì che ogni scuola, dalla Val d’Aosta alla Sicilia, possa utilizzare al meglio quello che dal 1997 è il principio base della scuola italiana: l’autonomia scolastica. In un documento presentato il 9 giugno alla Camera abbiamo sostanzialmente confermato tutte le leve a disposizione dell’autonomia che sono gli orari, la numerosità degli studenti, le diverse condizioni organizzative della scuola, proponendo otto interventi per poter in qualche modo attuare questa autonomia in condizioni emergenziali.

Abbiamo poi ricevuto un mandato, che scade il 31 luglio, per proiettare la scuola del futuro al di là dell’emergenza. È un’idea di organizzazione didattica molto più radicata nel territorio, dove proponiamo come modello i Patti Educativi di Comunità sperimentati in Emilia-Romagna durante il terremoto, poi sviluppati con il Patto per il Lavoro. Essendo radicata nel territorio la scuola potrà lasciare molto più spazio a tutte quelle attività proprie della nuova socialità, quindi il computing, la musica, l’arte, la vita sociale.

Di fronte al Covid la scuola ha reagito come tutta la società italiana: facendo un salto nella digitalizzazione. Un salto forse non preparato, ma pari ai passaggi fondamentali precedenti, avvenuti intorno al 2000 e al 2011 con i passaggi dal 2G al 3G e poi al 4G.

Intorno al 2012 l’Italia è stata molto impegnata con altri problemi, era per intenderci l’età dello spread a 500. In quel momento gli altri Paesi hanno fatto un evidente salto di digitalizzazione. L’Italia è arrivata un po’ in ritardo su questo, e si è visto: nel febbraio del 2020 le imprese che usavano il lavoro remoto erano il 9%. Non è stato un problema soltanto della scuola: abbiamo però fatto un salto di digitalizzazione su cui bisogna riflettere molto, non butterei via questi tre mesi, anzi: credo che debbano essere molto valorizzati.

FDP: Al netto dei documenti, delle linee guida e delle innovazioni, ci sono ancora due punti oscuri: il primo è quello dei finanziamenti: da questo punto di vista la scuola è da tempo trascurata. L’altro potrebbe essere i tempi nei quali saranno messi in atto i nuovi orientamento didattico pedagogici.

Il 29 di maggio il ministero ha messo a disposizione i 330 milioni previsti nel DL Rilancio. Sono a questo punto a disposizione dei presidi, ovviamente divisi su base nazionale, considerando che per un medio istituto tecnico equivalgono a € 120-140.000, questo per arrivare a settembre. Come comitato di esperti in consulenza abbiamo proposto tutte le facilitazioni per permettere ai presidi di usare questa somma. Bisognerà ovviamente fare delle deroghe per permettere ai presidi di poter utilizzare queste risorse in tempi brevi. Abbiamo proposto di usare lo schema usato durante il terremoto, che permetterà da qui a settembre di affrontare la fase di avvio.

Su questa base, il ministero darà poi delle linee guida. Per quanto riguarda invece la scuola del futuro, ci vorrà un tempo perché saranno ovviamente necessari anche dei passaggi parlamentari. A noi è stato richiesto di fare delle riflessioni, che faremo entro luglio. È fondamentale che il Paese riprenda a parlare di scuola: per anni questa riflessione non c’è stata.

FDP: C’è però stata più di una riflessione, se così si può dire, su una scuola come datore di lavoro o ammortizzatore familiare, piuttosto che come motore di sviluppo civile. Come facciamo a rovesciare questa immagine?

Bisogna essere capaci di riaprire un grande dibattito nel Paese su quella che è la scuola e su qual è la sua funzione. Dopo il salto tecnologico che c’è stato tutta la nuova economia si basa su competenze diverse, molto più legate alla creatività, al sapere tecnologico, ed è chiaro che l’adeguamento della scuola diventa fondamentale per lo sviluppo economico: questa è una cosa a cui tengo molto.

FDP: Rispetto a Paesi con un livello di contagio simile al nostro, penso ad esempio alla Spagna, l’Italia non è riuscita a fornire servizi scolastici durante la crisi sanitaria.

Una cosa è dire apriamo le scuole, bisogna poi andare a vedere cosa è stato realmente fatto. Facciamo l’esempio della Francia: prima ha aperto soltanto ai figli dei sanitari; poi su base volontaria, ed è andato a scuola il 14%. Dopodiché, hanno richiuso settanta scuole. La Spagna ha assunto come distanziamento sociale due metri. Un conto sono le dichiarazioni, un altro è sostanzialmente la reale condizione in cui ci si trova. Siamo stati il primo Paese che ha avuto il contagio e dove le autorità hanno disposto delle norme. Come comitato abbiamo preso atto, non sono qui né a difendere le scelte del comitato né quelle del governo, ma dire di voler aprire non è risolvere la questione. Per quanto riguarda la Germania, la risposta è arrivata sulla base dei diversi Lander, che si sono comportati in maniera molto diversa. La Danimarca ha sia una dimensione delle classi sia una configurazione delle aule molto diversa dalla nostra. Nelle nostre montagne ci sono scuole pluriclasse che non arrivano a 10 bambini, con scuole invece molto affollate in altri contesti. Il confronto con altri Paesi deve essere molto cauto.

FDP: L’edilizia scolastica è sicuramente un punto molto importante. Al di là del tema della sicurezza sanitaria, abbiamo un modello di spazio scolastico ancora legato a una logica frontale, ottocentesca.

Anche in questo caso possiamo avvantaggiarci dell’esperienza del terremoto in Emilia Romagna. Un’esperienza molto pesante, durante la quale abbiamo lanciato un programma di edilizia scolastica basato su strutture molto mobili. Stiamo cominciando ad affrontare questo tema al di là degli interventi provvisionali per settembre, perché ci è stato affidato da svolgere da qui a luglio come comitato.

La mia esperienza da assessore della Regione Emilia-Romagna è stata essenzialmente questa: bisogna avere delle strutture molto mobili molto aperte bisogna avere strutture con materiali che permettano una rapida trasformazione degli ambienti. In Emilia-Romagna abbiamo sperimentato strutture che potessero adattarsi alla didattica, non il contrario. Abbiamo fatto un bando per cento scuole, dove nessuno poteva però costruirne più di due. In questo modo, possiamo contare quindi su una sorta di catalogo sul territorio di come le scuole possano essere costruite. Abbiamo visto che quelle che funzionano meglio sono quelle più modulari, più aperte. Prima di tutto perché il mondo sta cambiando molto rapidamente, di conseguenza anche i bisogni scolastici. Bisogna quindi permettere alle diverse autonomie scolastiche di adottare le forme che preferiscono, che ritengono più adatte al luogo in cui sono.

Attualmente le famiglie sono libere di scegliere dove iscrivere i propri figli, anche se molti osservatori notano una polarizzazione spesso molto netta di diverse fasce sociali da un plesso all’altro, con conseguenti criticità e vulnerabilità sociale, per non parlare della congestione delle città. Il modello di “città dei quindici minuti” proposto per il post-Covid fa tornare di attualità la prescrizione dei bacini di utenza?

È un aspetto radicato nel nostro ordinamento, che prevede una possibilità di scelta a cui si risponde essenzialmente migliorando la qualità di tutta la struttura scolastica. Mi viene in mente la possibilità di scelta tra scuole paritarie scuole statali, garantita dalle nostre norme. A proposito della polarizzazione, sono convinto che la scuola pubblica così come la scuola paritaria possa garantire un grandissimo servizio scolastico. Il problema è come supportare tutte le scuole. Le scuole si supportano con la didattica e la qualità, sicuramente non imponendo norme in cui non si possa esercitare la propria scelta.  

Si può sicuramente aumentare la capacità dei cittadini di poter confrontare tra le diverse alternative. Ho visto scuole pubbliche offrire un ottimo servizio in situazioni difficilissime, dimostrando che, anche in situazioni difficili, la scuola è il presidio della legalità.

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