Per il turismo italiano (e mondiale) il 2020 è perso. La vera ripartenza sarà nel 2021. A condizione che…

Parafrasiamo Nino Manfredi: “La vacanza è un piacere; se non è serena che piacere è?”. La vacanza conta e costa un po’ più di una tazzina di caffè e quindi sapete cosa succederà? Che il panorama mentale citato sopra produrrà, sui grandi numeri, due e solo due tipi di decisione: A) Stare a casa, niente vacanze; B) Vacanze brevi e di prossimità (diciamo raggio 400 km), rigorosamente con mezzi propri, in situazioni ricettive conosciute e strasicure, meglio se in casa di parenti e amici, lontani dalla folla e spendendo il meno possibile. Diceva Robert De Niro in “Heath”: «Non fare entrare nella tua vita niente da cui tu non possa sganciarti in 30 secondi netti se senti puzza di sbirri». Adattate la frase con “vacanze” e “virus” e ci saremo capiti. E se venite a sapere di un turista disposto a rischiare una settimana di quarantena a sue spese in caso di tampone negativo (negativo!) al suo sbarco (caso Grecia) ditemelo perché lo vorrei conoscere.

Ovviamente le eccezioni ci saranno. Ci sarà chi partirà comunque per mete oltre le tre ore di volo e chi vorrà sfidare la sorte e il virus. Magari avranno ragione e ce lo auguriamo. Ma saranno pochi; se va bene (ma molto bene) il mercato in Italia si ridurrà del 50% in media e con percentuali sino al 90% in alcuni settori e siccome qui stiamo parlando di un’industria che nel nostro Paese vale il 13% del Pil è chiaro che essa non vive grazie alle eccezioni.

Che fare? Nessuno, tantomeno noi scribacchini, è mago. Però qualcosa si può dire. Sull’outgoing — gli italiani che vanno all’estero: saranno pochissimi e quei pochi si muoveranno in auto o in camper verso Paesi europei confinanti. Gli agenti di viaggio dovranno essere bravi a intercettare i primi — i camperisti sono un popolo autonomo — per proporre loro qualcosa di valido. Le destinazioni più lontane, poi, dovranno lavorare in marketing e comunicazione per continuare a “rendersi presenti”, investendo sul 2021 e oltre.

Simmetrico il ragionamento sull’incoming — gli stranieri che vengono in Italia: pochi e comunque molti meno di quanti ne servirebbero per far stare in piedi il settore, in arrivo all’ultimo minuto e con mezzi propri, soprattutto dai Paesi europei più vicini. Qui conterà molto l’immagine che l’Italia darà nelle prossime, cruciali, settimane. Un’immagine non tanto affidata alle “campagne promozionali” — servono ma la gente si fida poco, in questi frangenti — quanto alle notizie, alle hard news che i nostri vicini leggeranno o non leggeranno sui loro media.

Quanto al turismo domestico, la vacanza degli italiani in Italia, abbiamo già detto.

Non serve essere maghi, neppure economisti, ma i dati che circolano sono chiari: se non succedono miracoli, il turismo italiano perderà nel 2020 il 50% e cioè, da solo, provocherà il calo del 6% del Pil nazionale.

Due esempi colpiscono. Un direttore marketing che ha invitato i propri consorziati ad aprire comunque «per dire che ci siamo e perché dicendolo lanciamo un segnale anche a chi quest’anno non verrà da noi e quindi facciamo un investimento sul 2021»; un albergatore che non aprirà ma approfitterà dell’anno perso per rinnovare la propria struttura e forse si riproporrà per Natale se il Covid-19 non sarà riapparso in autunno.

A spanne si possono e devono fare due cose. La prima, nell’immediato: aiutare e sostenere le imprese a sopravvivere, soprattutto quelle che hanno professionalità ma non hanno la finanza necessaria per resistere da sole in apnea. Servono soldi veri, un po’ come i caschi ossigenanti che abbiamo visto nelle terapie intensive, altro che “bonus vacanze”. Inoltre, se troppe aziende moriranno non ci saranno “solo” migliaia di disoccupati ma si impoverirà anche la nostra offerta turistica complessiva con conseguenze pesantissime anche a virus scomparso.

La seconda: un piano di ridisegno dell’offerta turistica italiana, con i relativi investimenti. Un piano vero, non un convegno parolaio, non le solite ciance sul “petrolio italiano” o sui “nostri borghi”. Investimenti veri: sulle infrastrutture, sulla ricettività, sui prodotti turistici, sulla formazione.

Se il 2020 sarà  e lo sarà – un anno perduto dobbiamo prendercela con il virus cinico e baro. Se perderemo anche i prossimi anni – e il rischio c’è – ce la dovremo prendere solo con noi stessi.

LA STAMPA

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