George Floyd, funerali a Minneapolis: «Uniti per cambiare l’America»

Il viaggio

Oggi la salma di Floyd, risultato positivo al Covid-19 dall’autopsia, sarà portata in North Carolina, a Raeford, la città in cui era nato 46 anni fa. Un viaggio attraverso l’America che terminerà lunedì e martedì a Houston, in Texas, la metropoli dove George è cresciuto e dove si sta organizzando una cerimonia a inviti per circa cinquecento persone nella chiesa The Fountain of Praise. Sarà presente Joe Biden, candidato democratico alla presidenza.

A Washington, invece, tiene banco l’articolo di Jim Mattis per Atlantic. L’ex generale dei Marines ha posto in modo semplice e brutale una questione di importanza cruciale ai militari americani: davvero sareste pronti a usare la forza contro i vostri concittadini? Lo ha fatto conoscendo già la risposta. I generali, e non solo loro, non vogliono farsi invischiare nelle manovre elettorali di Donald Trump, avventurandosi in giochi di guerra nelle strade americane. «Farragut Square non è Fallujah», hanno fatto sapere alcuni ufficiali di stanza a Washington, accostando una tranquilla piazza della capitale alla cittadina irachena un tempo caposaldo dell’Isis.

Il Pentagono

Il segretario alla Difesa Mark Esper annaspa. Sta cercando di mediare tra il Pentagono e la Casa Bianca, salvando nello stesso tempo l’incarico che ricopre dal luglio del 2019. Finora, però, è riuscito nell’impresa di far infuriare nell’ordine: il presidente, i liberal democratici e i repubblicani più conservatori, nonché una parte della Guardia Nazionale mobilitata prima per il Covid-19 e poi con funzioni di polizia. Nel giro di quattro giorni sono venuti fuori i limiti politici di Esper, 56 anni, un ex lobbista dell’industria militare «inventato» come vice e poi come ministro da Trump per cercare di normalizzare il Dipartimento della Difesa, dopo le dimissioni di Mattis. L’1 giugno Trump avverte i governatori. «O fermate i disordini o vi mando l’esercito federale». Alla Casa Bianca c’è anche Esper, ma l’ipotesi più accreditata è che abbia fatto solo da comparsa.

Tra martedì e mercoledì Esper viene sommerso dalle critiche. La più aspra è quella di Mattis: «Trump è il presidente più divisivo che abbia mai visto», e il segretario alla Difesa non ha fatto di meglio che mettersi in posa in una «foto bizzarra» davanti alla St. John’s Episcopal Church.

Anche i repubblicani al Congresso si dividono

Il disagio è profondo, diffuso nella base. La rivista Military Times ha sondato con discrezione 33 quadri intermedi tra le truppe dislocate a Washington: 30 di loro si sono dichiarati contrari alla mobilitazione delle forze armate. Esper prova a galleggiare. Ma è un fuscello. Mercoledì mattina strappa con Trump, ma in serata viene convocato alla Casa Bianca. Subito dopo il ministro annulla l’ordine di far rientrare i paracadutisti dell’82esima divisione a Fort Bragg, in North Carolina: resteranno in attesa nella capitale. Nel frattempo Trump stronca Mattis su Twitter: «È il generale più sovrastimato del mondo. Sono felice che se ne sia andato». Ma i suoi commenti dividono i senatori repubblicani. Lisa Murkowski dà pienamente ragione a Mattis con una dichiarazione clamorosa: «Le parole del generale sono vere, oneste e più che necessarie». Lindsey Graham, di solito molto vicino a Trump, si schiera con il «no» dei militari. Sull’estremo opposto c’è invece Tom Cotton, l’iper sgomitante conservatore che invoca «una prova di forza» nelle strade.

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