Il trailer

Per l’amor di Dio, rifuggiamo dalla tentazione di fare di tutt’erba un “fascio”, anche se tutti mandano a quel paese Conte, tutti urlano “elezioni”, nessuno si mette la mascherina diventata quasi un simbolo di oppressione, parecchi arrivano da altre regioni nonostante oggi non sia ancora consentito. E anche se, in molti, nel pomeriggio assomigliano a quelli della mattina perché “io ho votato i Cinque Stelle, ma mi hanno deluso, sono dei venduti anche loro, adesso voto Giorgia”. Questo due giugno alla rovescia, senza manifestazioni repubblicane (a causa virus), ma con manifestazioni zeppe di eredi di chi la Repubblica non l’avrebbe fatta, altro che vittoria dell’Europa sul populismo in nome della “valanga di soldi” in arrivo, perché non si sa quando arriveranno, racconta tuttavia in pillole almeno due cose, che tanto banali non sono, come in un trailer di un film cui potremmo assistere nei prossimi mesi.

La prima la coglie Ignazio La Russa, che di cortei ha un’esperienza quasi cinquantennale: “Se avessimo spinto, sarebbero arrivate un milione di persone, c’è un afflusso sorprendente”. Ecco, la partecipazione come moto in larga parte spontaneo, oltre le aspettative, oltre lo sforzo organizzativo, perché la gente sarebbe arrivata comunque, dopo i mesi della reclusione, del lockdown democratico, delle conferenze stampa su ciò che si può e che non si può fare, e a quanti centimetri di distanza, della narrazione da Grande Fratello del “torneremo ad abbracciarci”.

La seconda, ed è la parte sinistra del film, è il nesso tra le due piazze, quella della destra che si candida a governare con percentuali in Europa seconde solo a quelle dell’Ungheria, quella del carnevale complottista che sembra fuori dal mondo, ma rischia, quando entrerà nel circo mediatico, di conquistare piena cittadinanza nel dibattito nazionale. In tal senso, diciamola così, la piazza del pomeriggio “incatena” quella della mattina al nazional-populismo, nella misura in cui dà voce (o meglio: urlo) ad alcune sue teorie estreme, dall’euro alla necessità di stampare moneta. Se la destra avesse assunto una linea di collaborazione istituzionale, se rinunciasse a invocare elezioni anche se è evidente che non si vota, se non desse cittadinanza alle teorie di Borghi e Bagnai, alle polemiche sul Mes, alla sovranità come mito da agitare, quella piazza di “matti” sarebbe anche contro la destra, non solo contro il governo, diventando il detonatore della sue contraddizioni. È la fotografia di un paese che, sia pur spesso raccontato con spirito autoconsolatorio, ha un umore profondo di ribellione nei passaggi più delicati. E che sulla rabbia sociale, può rompersi. In fondo, il generale De Lorenzo, che poi trovò piena accoglienza nel Movimento sociale, non era meno carnevalesco di Pappalardo.

L’HUFFPOST

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