Il difficile risveglio di Milano

Può darsi che ci sia stato un eccesso di retorica autocelebrativa in questi anni, da una parte e dall’altra, come viene rinfacciato dal resto d’Italia, ma è indubbio che Milano ha seminato più speranze che allarmi con il suo boom legato all’Expo, portando valore aggiunto al Pil (il 12 per cento di quello nazionale) e innescando con la sua voglia di essere global city un meccanismo di fiducia che si respirava ogni giorno, adrenalina pura da piazza Duomo a corso Como, da Garibaldi-Repubblica a City Life. E la Regione? In ombra. Chiusa tra gli scandali e gli arresti, la grandeur di Formigoni e del suo centrodestra a trazione Cl, votatissimo per tre mandati consecutivi e protagonista della riforma che ha allineato la sanità privata a quella pubblica, sono rimaste le toppe: un’ospedalizzazione all’eccesso, lo squilibrio a favore del privato, la mancata rete dei medici sul territorio, le spartizioni di poltrone più per convenienza che per competenza. Una sanità d’eccellenza ma troppo sbilanciata e per questo da correggere in base ai nuovi bisogni: l’assistenza a domicilio e l’invecchiamento della popolazione. Toccava al successore Roberto Maroni avviare una riforma sulla cronicità, ma l’operazione è finita prima di cominciare, liti nella catena di comando, arresti, dimissioni, un assessore in carcere, il ripiego nella burocrazia della salute con le nuove sigle da Asl a Asst. L’attuale giunta Fontana, imbullonata nelle stesse viti, era ancora in cerca di correttivi quando è esploso il Covid…

Oggi i destini e i percorsi di Milano e della Regione si incrociano allo stesso semaforo. Quello della ripartenza. Ma il pulsante da schiacciare è in mano alla Regione: sulla sanità il Comune non tocca palla. Ora il problema non è affondare il coltello in una ferita aperta, scatenando altre risse su una sanità che vive una situazione tragica, con migliaia di morti, denunce di medici e familiari, inchieste della magistratura sugli errori commessi. Bisogna guardare oltre la débâcle del Covid, ammettere con un umiltà errori e ritardi e costruire un sistema adeguato alle nuove emergenze: quel che è mancato in questi mesi della pandemia non deve mancare in futuro. È la sanità il punto da cui ripartire, anche per Milano. La sanità pubblica che ha dimostrato di essere un presidio fondamentale per la tutela dei cittadini. Con la sanità può tornare la fiducia, si possono mettere in moto nuove tecnologie e formazione, si può fare ricerca e innovazione.

Sulla filiera dei valori espressi dal bisogno di cura Milano dovrebbe darsi una linea, definire un nuovo ruolo. La pandemia ha messo in crisi un modello e oggi ne impone un altro, urbano e abitativo, con meno congestione, ripensamento degli spazi tra auto, bici e pedoni, maggiore attenzione agli anziani e alle fragilità. È un progetto legato al benessere equo e solidale, dove conterà sempre di più lo smartworking e la localizzazione di ospedali e presidi sanitari. Il virus ha dimostrato di essere più moderno dell’attuale sistema sanitario lombardo e il legame tra salute e ambiente, nella Regione più colpita e più ferita, richiede uno sforzo straordinario, da Dopoguerra è stato detto. Bisogna costruire argini, lanciare una sfida esemplare su salute e ambiente per non restare prigionieri di un modello usurato. Andrebbe aggiornata anche la riforma sanitaria per inserire il ruolo medici di base, e non lasciarli nell’attuale limbo normativo: questi medici, molti dei quali morti sul campo, da eroi, non possono essere lasciati soli a tamponare le falle di un sistema di gestione tracollato con il Covid.

Se Milano non vuole restare afasica e prigioniera della paura, deve reagire con idee e progetti, esaltando il valore della salute in ogni sua declinazione. Anche occupandosi degli ospedali che gravitano sulla città. Oggi c’è una dispersione in atto, tra progetti immobiliari e aree della ricerca e della salute avulse dall’idea di prossimità. Senza correzioni di rotta si resta nel passato. Le Regioni, ha scritto Sabino Cassese sul Corriere di domenica, «dovevano rappresentare un diverso modo di gestire, rispetto alle inefficienze dello Stato. Sono divenute esse stesse parte del problema». Serve l’umiltà della consapevolezza per riconoscere anche dove si è sbagliato: cura e protezione dei cittadini sono precondizioni per ripartire, punti fermi per la qualità sociale e l’economia della vita. Un patto sulla nuova sanità e sull’ambiente sarebbe uno scatto utile per far tornare Milano laboratorio di futuro con imprese e università. Altrimenti resterà accesa una spia sul cruscotto di una città e della sua Regione: quella dell’incertezza (o della presunzione di ritenere giusto anche quello che forse non lo è stato.

CORRIERE.IT

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