Due anni di Giuseppe Conte, “monocolo in terra caecorum”

Un giorno si scriverà la storia di questo settennato e si vedrà che Mattarella, con spietata dolcezza, è riuscito a imbrigliare uno dopo l’altro tutti gli aspiranti “caudillos” della politica italiana. Non ha manovrato spregiudicatamente come alcuni suoi predecessori, tuttavia anche lui si è mosso (senza darlo a vedere). Può darsi che in Conte, oltre alle comuni radici cattolico-democratiche, 24 mesi fa Mattarella avesse intravisto il personaggio giusto, l’antidoto che non ti aspetti alle ambizioni di 5 stelle e Lega, con le doti di astuzia, determinazione, ipocrisia e cinismo necessarie per contenere l’onda populista. Sia come sia, Mattarella gli ha coperto le spalle in tutti i passaggi più scabrosi. Così in parte si spiega il mistero della sua resilienza. È fuor di dubbio che, senza un sostegno da lassù, Conte sarebbe già caduto da un pezzo. Non gli sarebbero bastate né l’abilità alla Tarzan di saltare da un’alleanza all’altra, né l’onnipresenza televisiva ai confini del narcisismo su cui il fido Rocco Casalino ha edificato buona parte della sua vasta popolarità.

L’altro segreto di Conte sta nella pochezza dei propri rivali. “Nulla se mi considero, molto se mi confronto”, è un modo di dire risalente a Sant’Agostino. Nel caso del premier, il detto sembra cucito su misura da un sarto. Lui perlomeno ha una professione liberale, una laurea, un riconoscimento accademico e sa come destreggiarsi nei cavilli giuridici. Quando si esprime nella lingua di Shakespeare, che è l’esperanto dei consessi internazionali, non suscita l’ilarità dei suoi più agguerriti rivali. In patria trasmette un senso démodé di educazione che fa ancora presa sulla gente semplice, quella che si spellava le mani per Berlusconi e ora cerca un erede del Cav.

L’HUFFPOST

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