Decreto anti-burocrazia, anche le semplificazioni sono complicate

Il cantiere del Governo sul decreto ha il suo cervello a palazzo Chigi. Una regia, quindi, diversa rispetto a quella del Cura Italia e del decreto Rilancio, dove era il Tesoro a guidare la partita interna all’esecutivo. È stato lo stesso Conte a voler affidare il coordinamento delle norme agli uomini di fiducia della presidenza del Consiglio, prima tra tutti a Roberto Chieppa, il segretario generale di palazzo Chigi. Al netto dell’intesa politica nella maggioranza, che necessiterà di telefonate e vertici, lo schema prevede che dal ministero delle Infrastrutture, guidato dalla dem Paola De Micheli, arrivino le norme su cantieri e appalti e dal Dipartimento della Funzione pubblica, guidato dalla ministra pentastellata Fabiana Dadone, quelle sulla semplificazione nella pubblica amministrazione. La sintesi, e le scelte, si fanno a Chigi. 

E a palazzo Chigi si scrivono direttamente le norme per semplificare e accelerare gli investimenti pubblici. A capo della squadra c’è un uomo di fiducia di Conte, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio in quota 5s Mario Turco. Gli investimenti pubblici sono un grande buco nero. Ci sono, nella maggior parte dei casi sono anche erogati, ma poi che fine fanno non lo sa praticamente nessuno. Parliamo dei soldi che servono per ricostruire una piazza piuttosto che una strada di un paese, ma anche per realizzare una grande opera. I cittadini spesso vedono i cantieri incompiuti e sui cartelli posti davanti c’è scritto quanti soldi sono stati stanziati. Poi come è andata a finire si conosce solo in parte, cioè vedendo lo stato dell’arte dell’opera, ma sui soldi non si sa nulla. C’è una cifra che dà il senso di tutta questa storia: il 30% degli interventi che sono finanziati con investimenti pubblici è sconosciuta anche allo Stato. Nessuna informazione pervenuta. Piccoli Comuni, ma anche altri enti locali, piuttosto che amministrazioni centrali, non forniscono informazioni o non le aggiornano da anni. Fuoriescono dai monitoraggi. Una delle quattro gambe dell’intervento sugli investimenti riguarda proprio il monitoraggio: sarà introdotto un sistema penalizzante. Ad oggi non è prevista alcuna sanzione se non si ottempera all’obbligo di comunicare i dati sugli investimenti. Con il nuovo decreto sarà previsto che chi (dal sindaco al presidente di Regione solo per fare alcuni esempi) non aggiornerà il cervellone centrale dello Stato allora subirà un taglio sulla programmazione economica successiva. Tradotto: meno soldi di quanto ci si appresta a richiedere per gli investimenti successivi. Le percentuali del taglio sono ancora in via di definizione. 

Le altre tre direttrici sono la semplificazione del processo gestionale, come favorire gli investimenti per sostenere lo sviluppo dei territori e l’accelerazione di quelli strategici. Ma torniamo al monitoraggio, che è uno dei punti più qualificanti. Oltre alle penalità si introdurrà un sistema integrato di monitoraggio. Oggi ci sono diverse banche dati, affidate a diverse strutture. In questo modo si creano le lacune nel flusso informativo di ritorno di cui si diceva poco fa. La Ragioneria generale dello Stato, il Dipartimento per le politiche di coesione e quello per la programmazione economica sono i tre cervelloni dello Stato in cui confluiscono le informazioni delle banche dati. Il sistema integrato punta a superare questa frammentazione. Poi ci sarà una semplificazione delle schede che contengono le informazioni sulla strada che hanno percorso gli investimenti dal loro stanziamento al loro utilizzo o mancato utilizzo. Queste schede sono attualmente molto complesse, richiedono un numero innumerevole di dati. Chi sta lavorando alla semplificazione di queste schede spiega che molti di questi dati sono “inutili”. Le schede sono quelle del Cup, il Codice unico di progetto. Che verranno appunte liberate di informazioni ritenute superflue e che si traducono in ritardi perché per reperire i dati serve tempo e tutto quindi si rallenta. Immagine plastica di cosa è la burocrazia. Ci sarà anche l’obbligo di aprire subito il Cup, già nella fase di delibera, in modo da monitorare da subito dove i soldi vanno a finire una volta usciti dalle casse dello Stato. In questo modo si ha una cronistoria in tempo reale e completa, non solo dal momento dell’affidamento, come avviene attualmente. 

Modello Genova, Codice degli appalti, commissari, soldi. Le divisioni che frenano il pacchetto sblocca cantieri

La ministra De Micheli ha già inviato le sue proposte a palazzo Chigi. Una parte, anticipata da Huffpost, è contenuta in un documento che sarà allegato al Documento di economia e finanza. L’allegato Infrastrutture dice che si possono mettere in campo 200 miliardi in 15 anni per sbloccare i cantieri e 12 commissari per accelerare la realizzazione di 25 opere pubbliche strategiche. In un orizzonte temporale più ristretto, quello del primo anno, il perimetro è di 15-20 miliardi di opere, che si aggiungono agli 11 miliardi già messi in campo dal Mit negli scorsi mesi. La seconda tranche di proposte, che si punta a inserire nel decreto sulle semplificazioni, riguarda la modifica di alcune voci del Codice degli appalti. Ecco quali: la disciplina in materia di subappalto, quella sulla qualificazione delle stazioni appaltanti, gli affidamenti da parte delle pubbliche amministrazioni alle società in house, il partenariato pubblico-privato. Tutte queste voci prevedono interventi di snellimento e accelerazione. 

Il progetto si articola anche con altre norme, a cui hanno lavorato i tecnici del ministero insieme alle strutture tecniche della presidenza del Consiglio. Sono norme dal carattere emergenziale, mentre quelle le modifiche al Codice degli appalti sono a regime, cioè questioni che vanno risolte a prescindere dal Covid. Queste norme prevedono una semplificazione in favore delle stazioni appaltanti dalla progettazione al collaudo dell’opera. Ad esempio la procedura negoziata sarà sempre autorizzata, fino alla soglia europea di 5 milioni. E ci sarà la proroga dell’appalto integrato che ha solo due livelli di progettazione. 

Ma gli altri partiti della maggioranza, 5 stelle e Italia Viva, non convergono ancora su questo disegno. Prendiamo il Codice degli appalti. Il Pd vuole modificare alcune norme, ma non sospenderlo. Dice De Micheli che le deroghe sugli appalti devono essere mirate e non “un tana liberi tutti”, oltre a sottolineare che “le questioni dell’antimafia e della sicurezza dei cantieri sono per me inamovibili”. I 5 stelle però vogliono sospendere il Codice degli appalti per tre anni e poi affidare tutte le opere a due commissari (gli amministratori delegati di Anas e Rfi) con la supervisione di un presidente-commissario politico per l’attuazione. Vogliono gare veloci, in massimo 45 giorni, e la concessione della Via, la valutazione di impatto ambientale, entro 60 giorni. Il disegno dei pentastellati è il più vicino al modello Genova. Anche se i grillini sono spaccati al loro interno, tra chi è più propenso a questo disegno e chi esige più prudenza, facendo passare il nuovo Codice degli appalti dal Parlamento per un approfondimento. D’altronde un cambio di pelle come quello che i 5 stelle potrebbero fare sul fronte degli appalti e dei cantieri comporta incidenti di questo tipo. In molti guardano alla linea del superprocuratore antimafia Federico Cafiero De Raho che in un’intervista a La Stampa, dice appalti rapidi e controlli stretti per battere mafia e burocrazia. E poi ci sono i renziani che puntano a una dote molto più grande: il loro piano shock chiede 120 miliardi. Su questo, come su altri punti, servirà una sintesi. Semplificare con lentezza. E con complicazioni. 

L’HUFFPOST

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