Salvini e il coronavirus, piazze vuote e niente selfie: e se il calo della Lega fosse dovuto al lockdown?

Ma a sfruttare di più l’opportunità sono stati finora i Paesi che le risorse da spendere ce l’hanno, perché possono indebitarsi senza problemi sui mercati e dunque sono in grado di mobilitare cifre ingenti anche per finanziare le loro imprese, Germania in primis. Il che è una clamorosa conferma del fatto che ai «vasi di coccio», ai Paesi con debito alto come l’Italia, conviene invece che ci siano regole europee e che non viga la legge del più forte. Questi sono motivi razionali e complessi che il grande pubblico avverte solo in maniera intuitiva: gli italiani li hanno tradotti nella semplice deduzione che mai come adesso non possiamo far da soli e abbiamo bisogno dell’Europa, il che fa preferire politici più «spendibili» a Bruxelles.

C’è però un terreno più fisico, più concreto, sul quale la popolarità di Salvini è stata gravemente danneggiata dal lockdown, e consiste proprio nel distanziamento sociale. Il leader della Lega è infatti il più «caldo» dei nostri politici. Nel senso che ha costruito la sua fortuna sul contatto fisico, uno a uno, sul bagno di folla, sull’immersione salvifica nel popolo, al quale si presenta e appare come «uno di noi». L’orgia dei selfie non era altro che questo. I comizi di Salvini duravano venti minuti ma la successiva seduta di foto durava il doppio. Giorgetti calcolava che per ogni selfie ci fossero almeno venti condivisioni, e così in una sola piazza dei suoi vorticosi tour Salvini riusciva a «toccare» migliaia e migliaia di persone. E scrivo «toccare» in senso letterale. Il contatto infatti non era solo politico, era umano: i selfie si scattano tra amici e si mostrano agli amici. E del resto «toccare» il popolo è un’idea molto antica in politica: per secoli i «re taumaturghi» francesi e inglesi si sono attribuiti il potere di guarire i sudditi dalla scrofola, il mal du roi, semplicemente toccandoli.

Il distanziamento sociale ha distrutto tutto questo. Salvini lo sta pagando più di ogni altro leader. In assenza del popolo, i leader più «popolari» e «immediati» perdono terreno a vantaggio dei politici più «mediati». Se questa tesi è vera, bisogna forse ridimensionare l’importanza che la critica ha sempre attribuito alle capacità della Bestia, la macchina di consenso sui social del leader leghista. Non nel senso che i social non contino. Ma nel senso che funzionano da amplificatore, sono maestri dell’effetto eco, però il messaggio va lanciato con la folla sullo sfondo (del resto anche i Cinque Stelle cominciarono in piazza, con i meet up e il Vaffa day, prima di affidarsi a Rousseau).

Il populismo, insomma, ha bisogno del popolo. E nel vuoto di popolo, anche quel tratto guascone e ludico su cui ha tanto giocato Salvini, l’unico leader disposto a finire su Tik Tok, diventa oggi spiazzante e straniato. Questi non sono tempi per spalmare nutella e mangiare pizza e salsiccia in pubblico, e perfino le dirette dal balcone diventano un boomerang, perché sui balconi ci sono oggi anche gli altri, gli oppositori che urlano insulti. Una folla plaudente ed entusiasta era l’habitat naturale del messaggio di Salvini. Per un po’ non ci potrà più essere. Covid-19 cambierà anche i set della politica e la tecnica di recitazione dei leader?

CORRIERE.IT

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