Gli aiuti per le imprese non arrivano Cronache dalla trincea della liquidità

Crif: Le pmi hanno bisogno di 45 miliardi da qui a fine anno

di Rita Querzè

Lettere dal fronte

Lungo la trincea invisibile della liquidità accadono episodi di questo tipo. Piccola rassegna. Le scadenze sui pegni possono essere rinnovate solo di persona. E il lockdown ha bloccato le aste. Al Monte dei Pegni di Torino si sono così formate file impressionanti di sottoscrittori con l’assedio all’ingresso dei lavoratori. Sotto stress. Pesanti offese, insulti ai dipendenti in banca a Verona, ad Aversa, Gallarate. Un artigiano esasperato, a Collecchio, ha preso a sassate le vetrine di una filiale bancaria. Voleva prelevare una somma che sul conto non c’era. In provincia di Varese una coppia si è vista rifiutare uno «scoperto» di 5 mila euro e ha scatenato il finimondo. Il direttore, prontamente intervenuto, ha scoperto alla sera che le gomme della sua auto erano state bucate. A Bari la banca era chiusa. I titolari di un negozio di bomboniere, che volevano un prestito subito, hanno preso a calci la saracinesca. Ripresi da un balcone, sono finiti su Facebook.

Scene marginali, ma significative. Il clima è teso. In altri Paesi l’erogazione di liquidità è stata più semplice. In qualche caso veramente immediata (Svizzera). O di fatto automatica attraverso una autocertificazione (Francia) che l’Abi ha chiesto di estendere in Italia anche sopra i 25 mila euro. E soprattutto massiccia. Il centro studi Bruegel ha confrontato le risposte economiche alla pandemia. In rapporto al Prodotto interno lordo (Pil), per quanto riguarda la liquidità mossa attraverso le garanzie pubbliche, l’Italia è però allo stesso livello della Spagna. Ma non della Germania — che ha offerto una copertura sempre al 100 per cento ed erogazioni a fondo perduto — o del Regno Unito. Però fa meglio degli Stati Uniti, almeno sulla carta. Il commento

Coronavirus, se lo Stato trasferisce in ritardo i soldi per le imprese

di Dario Di Vico

Il Nobel per l’economia Paul Krugman è stato particolarmente duro sull’inefficacia della risposta economica americana al virus. Aiuti per le piccole aziende sono finiti anche alle grandi, quotate. Al di là dei tempi — che in Italia sono allungati da un consolidato carico burocratico — è stata sottolineata, in molte esperienze estere, la necessità di far corrispondere gli annunci alla realtà. Senza suscitare false aspettative.

Questo è il punto. Se si dice: 25 mila euro per tutti e non è così, perché c’è il limite del 25 per cento dei ricavi, non del fatturato (di almeno centomila euro), si rischia di illudere e deludere gli operatori economici. E poi c’è il problema del cosiddetto funding. Per il momento sono stati appostati solo 1,7 miliardi di denaro pubblico a sostegno dell’intera iniziativa che interessa una platea di potenziali percettori intorno ai 3,5/4 milioni di operatori. Sono un po’ pochi per sostenere la garanzia pubblica che è al 100 per cento per i prestiti fino a 25 mila euro e scende fino all’80 per cento per importi superiori coperti dall’intervento della Sace.

Il meccanismo

La società che assicura i crediti all’export non è più sotto il controllo diretto della Cdp ma è funzionalmente in capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze. Ha alle spalle il conto di Tesoreria e dunque un sufficiente volume di fuoco finanziario che andrà ovviamente alimentato. Il Mediocredito Centrale, che gestisce il Fondo di garanzia, studia di raddoppiare l’effetto leva. La celerità nell’erogazione di prestiti dipende soprattutto dalla preparazione e dalla prontezza dei canali bancari. Da qui anche la differenza in termini di commissioni e di possibili arbitraggi fra prestiti garantiti dallo Stato e non. Ovvero la richiesta al cliente di estinguere linee di credito sulle quali il rischio bancario è più elevato sostituendole con quelle totalmente o parzialmente garantite dallo Stato. Conti pubblici

Def, le anticipazioni: calo Pil -8%, scostamento deficit da 55 miliardi

di Claudia Voltattorni

Lunedì scorso, su L’Economia, abbiamo affrontato le fragilità del processo dal lato delle infiltrazioni criminali e del rischio che soldi pubblici finiscano in tasche private già capienti. E i riflessi sulle procedure concorsuali, ovvero sulle aziende in crisi. L’esclusione del beneficio di quelle che erano in difficoltà (cioè con crediti unlikely to pay) al 31 dicembre del 2019 sembra un discrimine piuttosto severo.

L’altro aspetto controverso riguarda la cosiddetta manleva per dirigenti bancari, costretti a una istruttoria sul merito di credito necessariamente semplificata se non affrettata. Ostacolo che si potrebbe superare con una sospensione a tempo, almeno per tutto l’anno in corso, delle eventuali responsabilità penali. Sace si è impegnata a un iter semplificato dell’esame delle proposte nel massimo di 48 ore, in linea con le migliori pratiche degli altri Paesi, in particolare la Francia. Sottolinea l’esiguità dei costi e soprattutto il periodo di preammortamento di due anni. In sostanza, nella fase iniziale, si pagano solo gli interessi. Tassi che per l’erogazione dei prestiti garantiti al 100 per cento a sei anni è di poco superiore all’uno per cento. Alle banche è stata posta la condizione di creare un conto corrente dedicato per l’erogazione del credito garantito.

L’ossigeno c’è. Abbondante. Speriamo arrivi in tempo a beneficio di chi ne ha veramente bisogno.

CORRIERE.IT

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