Coronavirus, aerei e nuove regole: non trema solo Ryanair. Le compagnie: «Qui si ferma tutto»

Le regole europee

Un cataclisma per il trasporto aereo che dovrebbe alleggerirsi dal prossimo mese con l’allentamento delle restrizioni ai movimenti, almeno in Europa. Ma questo allentamento dovrebbe avvenire con requisiti che compagnie e aziende di gestione degli aeroporti temono possano essere economicamente insostenibili. Ad oggi non esiste una regolamentazione comune, almeno a livello comunitario. Per questo la Commissione europea — assieme a Easa, l’agenzia per la sicurezza aerea — presenterà a maggio alcune regole. Una su tutte: «Una qualche forma di distanziamento sociale negli scali e a bordo dei velivoli», anticipa la commissaria ai Trasporti Adina Valean, da aggiungere possibilmente alle mascherine.

A bordo

Le regole europee sono necessarie visto che i Paesi procedono in ordine sparso. In Italia, per esempio, l’ordinanza del ministero della Salute prevede — per i soli voli in arrivo dall’estero — che i passeggeri siano seduti a non meno di un metro di distanza dagli altri e che indossino le mascherine. Come si traduce nella pratica? La riorganizzazione interna dell’assegnazione dei sedili di Alitalia — da quello che il Corriere ha potuto vedere — dimezzerebbe i posti disponibili sugli Embraer E175 (da 88 a 44) ed E190 (da 100 a 50), ridurrebbe del 63% quelli sugli Airbus A320 (da 156 a 58), taglierebbe del 52% la vendita dei sedili sugli Airbus A330 per i voli intercontinentali (da 256 a 122) e del 56% sui Boeing 777-200ER. Da un controllo sui sistemi di prenotazione emerge che Alitalia ha esteso l’obbligo di distanziamento a bordo anche ai voli nazionali.

La «minaccia» di Ryanair

Non è chiara la misura minima che sceglierà l’Europa: nelle bozze del prossimo Dpcm che detterà le regole della «fase 2» in Italia, a quanto apprende il Corriere, dovrebbe restare il metro di spazio, ma è possibile che a Bruxelles si arrivi a portarlo a 1,5 metri. «Da quello che sta emergendo uno dei requisiti per tornare a volare sarà quello di lasciare il posto centrale vuoto a bordo», anticipa Alexandre de Juniac, numero uno della Iata. Ma rispettare il distanziamento significa non poter vendere dei posti e questo metterebbe a rischio uno dei pilastri delle low cost, oltre che i bilanci di tutte le aviolinee. Il più critico è stato Michael O’Leary, patron di Ryanair, che attraverso il Financial Times ha minacciato (leggi qui il pezzo) di non riprendere a volare se ci sarà l’obbligo dei posti vuoti alternati. «È un’idea stupida», ha commentato. «Ryanair non può far soldi con un tasso di riempimento del 66% e lasciare liberi i posti di mezzo non garantisce comunque una distanza sufficiente». A livello di settore il punto di pareggio si ottiene vendendo almeno il 75% dei sedili, nei mercati con una maggiore competizione servirebbe almeno l’80%.

Le altre compagnie

O’Leary suggerisce piuttosto l’introduzione del controllo obbligatorio della temperatura dei passeggeri e l’uso delle mascherine. Chi si sta preparando, controvoglia, a non vendere più un terzo dei posti a bordo è Wizz Air, una delle low cost più importanti d’Europa. «Questo vuol dire che i nostri Airbus A320 da 180 sedili diventeranno dei velivoli che potranno trasportare al massimo 120 persone», calcola l’amministratore delegato Jozsef Varadi. Anche in easyJet si preparano a sacrificare posti e ricavi per un periodo di tempo che sperano sia limitato a pochi mesi. «È qualcosa che dobbiamo fare perché è quello che si aspettano i nostri clienti», ragiona Johan Lundgren, numero uno della low cost britannica.

Gli aeroporti

Ma, appunto, deve essere un provvedimento di qualche mese altrimenti andrebbe in crisi tutto il trasporto aereo. Non solo le compagnie. Diverse società di gestione degli aeroporti — in Italia e all’estero — premono perché il distanziamento sociale non venga introdotto tra i requisiti per riprendere a volare. «Se ci viene imposto di tenere le persone a un metro di distanza siamo finiti», confessa un dirigente. «La gestione dei flussi negli scali non s’inventa da un momento all’altro, ma è frutto di mesi di lavoro e di analisi — continua —. Al netto delle difficoltà logistiche che dovremmo affrontare per far rispettare le regole di social distancing a quel punto nessuno avrebbe più voglia di mangiare qualcosa nei ristoranti dentro la struttura, nessuno andrebbe a comprare nei duty free, voci di ricavo per noi fondamentali. A quel punto meglio chiudere per sempre».

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