Nord, Sud, Unione Europea: i nemici inventati (e veri)

La pandemia ha scatenato un incendio che, molto probabilmente, sarebbe scoppiato comunque in capo a qualche mese. Solo che ora lo scontro in atto rischia di uccidere il Paese, di bloccare in partenza gli sforzi che sarebbero necessari per ricostruirlo economicamente, per consentirci, in tempi ragionevoli, di uscire dalla Grande Depressione che ci attende.

Purtroppo, la divisione fra Nord e Sud si somma a, e fa sinergia con, la divisione culturale e ideologica fra gli amici e i nemici della società industriale. Il pregiudizio, al tempo stesso antisettentrionale e antiindustriale, è evidente in coloro che sostengono che la fase 2, la fase del ritorno alle normali attività occupazionali, deve essere ritardata il più possibile e comunque devono entrare nella fase 2 per prime le regioni meno colpite dal virus. Come, ad esempio, la Basilicata o la Calabria. C’è però un particolare: con tutto il rispetto per gli abitanti della Basilicata e della Calabria, il loro ingresso nella fase 2 non sarebbe di aiuto per la ripresa dell’economia nazionale. Sono le regioni del Nord (ma anche del Centro, come le Marche e la Toscana) che devono ripartire. Perché è lì, soprattutto, che si produce e che si esporta, è lì il forziere d’Italia, sono quelli i territori integrati nelle catene globali del valore. Proprio per questo sono state anche le regioni più colpite dal virus.

Sarebbe necessario un disarmo bilanciato, una de-escalation in tema di dichiarazioni irresponsabili. Quando i presidenti della regione campana e di quella calabrese dichiarano che chiuderanno i confini regionali se le regioni del Nord, sia pure con tutte le cautele del caso, usciranno dal lockdown, ipotizzano di fare una cosa illegale e gettano benzina sul fuoco. Se l’escalation dovesse continuare prima o poi le regioni del Nord, probabilmente, minaccerebbero azioni altrettanto illegali: come bloccare i trasferimenti di risorse al Sud. Converrebbe a tutti un po’ di equilibrio e di buon senso.

Ammesso che, come si spera, arrivino (in qualunque forma) risorse dall’Europa per la ricostruzione, il rischio è che esse diventino l’occasione di feroci conflitti fra nordisti e sudisti, nonché fra i difensori della società industriale e coloro che coltivano sogni bucolici, utopie anti-industriali. Magari non sarà così. Magari quando finalmente la fase acuta della pandemia sarà alle nostre spalle i conflitti si placheranno. Magari ci sarà una pressione dell’opinione pubblica che obbligherà anche gli attaccabrighe a collaborare allo sforzo collettivo della ricostruzione. Magari. Una sola cosa non è possibile, contrariamente a quanto ci raccontano certi spot televisivi. Non cambieremo molto. Ci saremo sempre noi con i nostri antichi vizi e le nostre reciproche insofferenze. Ma con la speranza, questa sì ragionevole e da coltivare, che la maggior parte degli italiani possa tornare presto a vivere in condizioni decenti.

CORRIERE.IT

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