La trattativa per la ripresa: ecco cosa chiedere all’Europa

Ma nella proposta dell’Eurogruppo questo punto rimane ambiguo e si presume quindi che ci siano spazi di negoziazione. Invece che demonizzare il Mes l’Italia dovrebbe puntare a ottenere una scadenza più lunga e ci sono ragioni per credere che la Germania sarebbe aperta a un compromesso su questo punto.

Un altro terreno di negoziazione è quello della dimensione del programma Sure: 100 miliardi sono pochi e si potrebbe puntare a espanderlo e anche in quel caso — e per le stesse ragioni — aumentare la scadenza del prestito. Una maggiore capacità di leva richiede più garanzie oppure accettare un «rating» più basso, tutte opzioni possibili e presumibilmente negoziabili.

Ma veniamo alla promessa: il fondo comune per la ricostruzione. Per quanto auspicabile, sembra di capire che sarà difficile arrivare a un consenso sulla proposta francese, cioè quella di un veicolo dedicato che può finanziarsi sul mercato con la garanzia di tutti i Paesi membri. È giusto che l’Italia si impegni su questo progetto, ma se, come probabile, un accordo non fosse maturo, dobbiamo rimanere aperti sulla possibilità di utilizzare altri strumenti per il piano di ricostruzione. Si può pensare a espandere il campo di azione della Banca Europea degli investimenti o, come è stato proposto da alcuni economisti, a istituire un fondo europeo in cui sia prevista la partecipazione nell’equity. Le opzioni per finanziarlo sono molteplici e gli Eurobond non sono l’unica via.

Ma non scordiamo che, oltre al problema di come finanziare questi veicoli, c’è quello fondamentale di capire come andranno utilizzate le risorse. Gli obiettivi sono chiari: riaprire l’economia facilitando la riconnessione delle catene di valore aiutando le imprese a operare in sicurezza rispettando i requisiti di distanza fisica tra i lavoratori e utilizzando strumenti di protezione. Ma anche investire nella infrastruttura di salute pubblica e nella ricerca epidemiologica e riconvertire alcuni settori in linea con gli obbiettivi della economia verde. Meno chiaro è quale debba essere il loro governo. L’esperienza dell’uso dei fondi strutturali non è confortante, soprattutto in Italia, e sarebbe tragico trovarci con soldi che non sappiamo spendere.

Su questo abbiamo bisogno di idee innovative. Per esempio, si potrebbe pensare a una struttura indipendente, in parte federale, ma anche con rappresentanza di quelle istituzioni che nei singoli Paesi sono protagoniste della ricostruzione e hanno conoscenza locale, come, per esempio, la Cassa depositi e prestiti. In altre parole, negoziamo duro sul negoziabile e sparigliamo le carte aprendo una discussione più ampia sugli strumenti per ricostruire, il loro governo e su ciò che ha senso fare insieme per sfruttare le potenzialità del mercato unico.

CORRIERE.IT

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