“Su terapie e vaccino ad ora niente di sicuro”. Intervista a Silvio Garattini

“In realtà al momento non c’è niente di sicuro. Ci sono tante proposte, ma nessuna che abbia una solida base scientifica. Se avessimo iniziato a fare studi prima, probabilmente avremmo già qualche risposta. Va subito detta una cosa: no al “fai da te”. È bene che nessuno cambi terapia, penso agli ipertesi, ai cardiopatici, perché i farmaci che hanno mostrato qualche effetto positivo contro la malattia causata da questo nuovo coronavirus hanno effetti collaterali da non sottovalutare. Quanto alle ricerche, continuano gli studi su alcuni farmaci utilizzati per la terapia dell’Aids, ma da uno studio cinese, svolto in modo controllato, è emerso che nei 200 casi analizzati non ci sono benefici sostanziali e il 14 per cento ha dovuto sospendere la cura a causa degli effetti collaterali”.

Invece gli studi su Tocilizumab, Remdesivir e idrossiclorochina a che punto sono?

“Sul Tocilizumab è iniziata la sperimentazione anche in Italia e bisogna invitare tutti i centri di ricerca ad aderire in modo che la risposta, che potrebbe arrivare per la metà di maggio, possa essere più rapida. Il Remdesivir fu utilizzato già contro Ebola, ma anche allora senza risultati conclusivi. Lo studio è in corso, aspettiamo gli esiti per valutare. Sull’idrossiclorochina abbiamo qualche dato, ma anche in questo caso non accettabile dal punto di vista scientifico. Piccoli numeri, dati aneddotici, che attesterebbero un effetto antinfiammatorio e antivirale, ma servono evidenze scientifiche certe. Anche in questo caso sconsiglio il “fai da te”. E poi ci sono altri farmaci che potrebbero dare risultati interessanti per curare la malattia da Covid-19”.

Quali?

“L’ivermectina, utilizzato per la terapia antiparassitaria, e l’Eparina, quest’ultimo utile in risposta all’infiammazione dei capillari e alla micro-trombosi generalizzata causata dalla polmonite da coronavirus. È una buona ipotesi, ma mancano gli studi clinici controllati, necessari per avere risposte certe. Per i farmaci già in uso potranno arrivare prima. Per quelli nuovi, che dunque devono passare attraverso le varie fasi della sperimentazione, ci vorrà più tempo. E poi ci sono i vaccini”.

I vaccini, già. Più di un esperto li ha definiti “una scommessa”.

“Certo che lo sono. L’effetto dei vaccini dovrà durare a lungo. Sappiamo che nei soggetti che hanno avuto la malattia sembra che gli anticorpi non durano a lungo. Premesso che dovranno passare attraverso le fasi della sperimentazione, per essere realmente efficaci i vaccini dovranno realizzare condizioni precise”.

A cosa si riferisce?

“A tre condizioni. Prima di tutti gli anticorpi che si formano devono neutralizzare il virus e impedirne la riproduzione. In secondo luogo, devono durare nel tempo e poi c’è l’aspetto relativo alla fase della produzione, fondamentale visto che ne serviranno miliardi di dosi. Bisogna organizzarsi per tempo, non farsi trovare impreparati”.

Come fare?

“Il rischio è che il vaccino non sia disponibile per tutti allo stesso tempo. Mi spiego meglio: se il vaccino sarà scoperto mettiamo nel paese x, potrebbe non essere subito disponibile nel paese y. Questo non deve accadere. E dunque sono necessari accordi tra Governi. Serve, se necessario, una licenza obbligatoria sulla base della quale, ad esempio, la casa farmaceutica che avrà in produzione il vaccino nel paese in cui si metterà a punto prima, dia la possibilità di produrlo anche a case farmaceutiche di altri paesi”.

Tempo fa ha ipotizzato che si possa arrivare al vaccino entro la fine di quest’anno. Conferma la previsione?

“Sì, ma, ripeto, bisogna che gli esperimenti vadano bene e che quelle tre condizioni siano rispettate. E poi c’è la fase della produzione. Solo in Italia ne serviranno 60 milioni di dosi. Se poi le somministrazioni sono due, il numero raddoppierà. Insomma, ci vorrà tempo. Adesso si sta tentando anche la via dell’infusione a pazienti molto malati di anticorpi ricavati con trasfusioni da persone guarite dall’infezione da Covid-19 e c’è qualcuno che cerca di preparare anticorpi in laboratorio”.

È la stessa cosa del vaccino?

“No, sono cose molto diverse. Gli anticorpi che somministriamo vanno via. Se il vaccino funziona, invece, c’è memoria nel corpo”.

Professor Garattini, ora si parla di fase 2. Siamo pronti a inaugurarla?

“Speriamo si possa attuare. Bisogna trovare i giusti equilibri, anche perché la progressione della fase 1 non sarà tollerabile più di tanto. Si sono già manifestate situazioni di violenza, le malattie mentali aumenteranno. A stare troppo in casa si rischia di mangiare e di fumare di più, inevitabilmente si fa meno attività fisica e dunque si abbandonano le buone abitudini, importanti per il futuro. Ancora, gli ammalati cronici non seguono adeguatamente le terapie perché andare in farmacia è più difficoltoso, si ha timore ad andare in ospedale per paura di ammalarsi. C’è il problema delle nuove nascite e della vaccinazione dei neonati. Inoltre, se questo sistema dovesse proseguire ancora invariato, si porrebbe un problema serio derivante dall’aumento dei disoccupati. Bisogna stare molto attenti a non alimentare, nel mentre giustamente si corre dietro al virus per fermarne l’avanzata, altre forme di malessere e povertà. Si deve fare in modo di far tornare le persone al lavoro, assicurandosi prima che il rientro sia fatto in sicurezza, che ad esempio, i lavoratori abbiano a disposizione le mascherine, i disinfettanti, che i posti di lavoro siano sanificati e sicuri”.

Dall’indagine di sieroprevalenza potranno venire indicazioni utili alla riapertura e segnatamente al rientro al lavoro?

“Sì, ma l’indagine dovrà avere un fattore di errore molto basso, inferiore al 10%. Altrimenti avremo falsi positivi e falsi negativi che andranno liberamente in giro ad infettare altre persone. E poi questi test dovranno essere validati dall’Istituto Superiore di Sanità. Ecco, facciamo in modo che questo periodo di clausura venga utilizzato per creare le condizioni per cui davvero agli inizi di maggio si possa avviare la fase 2”.

Martedì in un’intervista il ministro Francesco Boccia ha chiesto alla scienza “certezze inconfutabili e non tre o quattro opzioni per ogni tema”. Vuole replicare?

“Sia detto senza polemica, ma non si può chiedere aiuto alla scienza quando la ricerca è stata ridotta in miseria. In Italia per la ricerca abbiamo la metà della media delle risorse europee, molti dei nostri migliori ricercatori sono all’estero, nei laboratori più prestigiosi. La scienza può dare informazioni sulla base delle conoscenze e dei progressi compiuti. Siamo di fronte a un virus nuovo e possiamo fornire indicazioni su probabilità. Ecco, se tutti osserveremo la regola del distanziamento, se avremo strumenti di protezione adeguati, riaprendo il Paese gradualmente, ci sono probabilità molto alte di riuscire a tornare alla normalità. Però non si dimentichi mai che la scienza va messa in condizioni di lavorare. Da noi non si può fare sperimentazione animale, se non con enormi difficoltà. Anche per un test su un solo topo bisogna passare attraverso quattro comitati”.

In che fase siamo adesso, professore?

“Ancora in fase 1, assolutamente. Mi aspetto che la fase 2 cominci a inizio maggio, ma va preparata sin d’ora e adeguatamente. Altrimenti ci saranno ritardi e dilazioni della fase 1 e non so fino a che punto il Paese può tollerarli”.

Dobbiamo aspettarci una nuova ondata del virus?

“Va prevista. Specie nelle Regioni non molto colpite in questa prima ondata. Al Sud, per esempio, può darsi che non si sia sviluppata una forte infettività perché l’avanzata del contagio è stata fermata per tempo. Ma un’altra ondata potrebbe esserci. È bene non smobilitare troppo rapidamente”.

L’HUFFPOST

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