La grande paura del dopo riavvicina Cgil e Confindustria

Quando, come e in quanti ripartiranno è l’interrogativo che declina la grande paura. Accompagnata da una constatazione amara, che nessuno può o ha interesse a smorzare: molti non avranno la forza di riavviare la propria attività, altri lo faranno ma con una minor produzione e quindi con meno lavoratori. 

È il dopo che fa paura già oggi perché significa imprenditori che rischiano di perdere la propria attività e licenziamenti. Salvare le imprese diventa un protocollo imposto dallo strascico pesante che sta lasciando il virus. Che questa consapevolezza fosse propria degli industriali è logico perché è nel loro dna, ma il dato nuovo è che anche il sindacato si sta muovendo su questa dimensione. Quando la telecamera di Agorà si accende davanti a Maurizio Landini, il segretario generale della Cgil lo dice chiaramente: “Credo che in questi giorni bisogna mettere a punto un provvedimento straordinario per la liquidità e il sostegno delle imprese, in modo che nessun impresa, né piccola né grande, sia costretta a dover chiudere o andare in fallimento”. È il passaggio che marca un avvicinamento tra le parti sociali. La durata non è stimabile perché il pressing di Confindustria per allungare la lista delle attività essenziali non si è cancellato, ma fino a quando il governo non condurrà in porto il decreto per la liquidità alle imprese il segno è quello della visione comune.

L’ultima tegola che accresce la grande paura è il rapporto del Centro studi di viale dell’Astronomia: la produzione industriale è precipitata a -16,6% a marzo. I livelli sono quelli del 1978. Di fronte a questo scenario, anche il governo ha capito che bisogna accelerare. Conte vuole incassare un accordo anche con le opposizioni e per questo palazzo Chigi è stato oggi il centro di una raffica di riunioni in videoconferenza. Governo e capigruppo di maggioranza e poi ancora l’esecutivo, con il ministro Roberto Gualtieri, e i capigruppo di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Il tentativo, però, è inficiato dalla questione Mes. Il premier ha aperto all’utilizzo del fondo senza condizionalità, ma Stefano Patuanelli ha alzato il muro per i 5 stelle. E Salvini è ritornato ad avvertire: “Non si parli più di Mes”. 

Il lavoro operativo spetta a Gualtieri. Il titolare del Tesoro ha insistito per passare a una fase operativa, entrando nel merito delle proposte. Ha ribadito che il decreto che arriverà a Pasqua sarà più corposo di quello di marzo, ma “le risorse non sono illimitate”. Chiaro riferimento e argine al leader della Lega e alle altre opposizioni che chiedono di mettere sul piatto 100 miliardi. L’importo sarà comunque considerevole, intorno ai 40 miliardi, e tutto da usare per aiutare sanità, aziende, lavoratori, enti locali e famiglie. Prima, però, spazio al decreto per la liquidità alle imprese. Per le imprese, a partire da quelle medie e grandi, entrerà in campo una garanzia dello Stato per circa 200 miliardi di credito, fino al 25% del fatturato. Un ombrello che si aggiunge ai 100 miliardi garantiti dal Fondo centrale di garanzia, che verrà ulteriormente rafforzato e semplificato, e ai 290 interessati dalla moratoria. Qualcosa va ancora aggiustato, come i tempi di restituzione del prestito. Gli industriali spingono per un intervallo lungo, intorno ai 30 anni o comunque sopra l’orizzonte che immagina il Tesoro, cioè 8-10 anni. Si lavora per arrivare un punto di caduta comune. I renziani spingono per inserire anche le partite Iva, i commercianti e gli artigiani. C’è bisogno anche di un passaggio politico interno alla maggioranza. Quello che il premier fa in serata. Con la consapevolezza che bisogna fare presto. Il capitombolo dell’economia reale è lì, dietro alla porta, a ricordare che servono ancora soldi. Subito. 

L’HUFFPOST

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