Il cortocircuito Inps, disciplina e fiducia non vanno incrinate

Il vertice spiega di lavorare ventiquattr’ore su ventiquattro per risolvere i problemi posti dalla pandemia da coronavirus. Forse farebbe meglio a organizzarsi in anticipo per lavorare magari meno ma in modo più efficace. Anche perché quanto è successo per il bonus potrebbe ricapitare per la cassa integrazione o per le misure a favore delle imprese. È naturale che in questa stagione straordinaria e angosciosa, chi ha ricevuto la promessa di un sostegno finanziario dallo Stato cerchi di affrettarsi per ottenerlo. L’incognita che regala l’incidente di ieri è se l’impegno sarà mantenuto, e in tempi ragionevoli.

Virtualmente, finora sono piovuti miliardi di euro per fronteggiare l’emergenza. Il problema è quando entreranno concretamente nei conti in banca e nelle tasche di chi ne ha diritto. È vero: ci sono molti che soffiano sulle tensioni sociali e tendono a svalutare lo sforzo compatto del governo. Sono strumentalizzazioni che vanno additate e condannate. Ma episodi come l’impazzimento del sito web dell’Inps sono destinati ad alimentarle e moltiplicarle, non a ridurle. Si avverte l’esigenza di dare tempi certi sull’arrivo degli aiuti, che riguardano singole persone come industrie; e di risolvere anche un problema di comunicazione, giustificabile all’inizio del contagio; oggi molto meno. Dopo sette decreti legge, otto «ordini» della presidenza del Consiglio, più le misure prese a livello regionale, si naviga su un mare di norme non sempre facili da interpretare.

La disciplina con la quale la grandissima parte della popolazione ha rispettato finora le restrizioni, a dispetto di qualche ambiguità e oscurità lessicale di troppo, non va delusa. Anche perché, se non si metteranno in moto i finanziamenti in modo rapido e tangibile, non ci si troverà solo di fronte a contestazioni crescenti ma a contraccolpi economici potenzialmente esplosivi. A quel punto, ricostruire il rapporto di fiducia con le istituzioni, dimostrato e consolidatosi in queste settimane di passione, diventerebbe una sfida. Si lascerebbe il campo ai professionisti della paura che evocano un’Italia ridotta a un atollo sperduto e impoverito nel sud dell’Europa, e dominato dalla disperazione e dagli egoismi. Non siamo a questo, e bisogna evitare di arrivarci: anche impegnandosi a mantenere un simulacro di unità.

CORRIERE.IT

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