Coronavirus, il Papa prega nella piazza vuota: «Ti imploriamo Dio, non lasciarci nella tempesta»

«Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti». Vicino al Papa c’è solo monsignor Guido Marini, maestro delle cerimonie pontificie, poco distante il lettore. La lettura del Vangelo è dal quarto capitolo del Vangelo di Marco, l’episodio della tempesta sedata, i discepoli atterriti dalle onde che minacciano di rovesciare la barca e Gesù che dorme sereno a poppa, viene svegliato, ordina al vento a al mare di calmarsi e poi dice loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». La stessa frase scandisce la riflessione di Francesco. «Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca ci siamo tutti. Anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme».

Il tempo della pandemia ci fa distinguere ciò che è necessario da ciò che, tutto sommato, non aveva importanza: «La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità». Il tono del Papa è solenne: «Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella benedetta appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli». La domanda di Gesù riguarda tutti: «In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”».

L’appello alla fede di Gesù «non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te», spiega il Papa. «In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente: “Convertitevi”, «ritornate a me con tutto il cuore». C’è chi ha saputo già fare questa scelta, fa notare Francesco: «Possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermieri e infermiere, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità».

Prima della benedizione si susseguono le preghiere. «Liberaci, o Signore, dal potere di Satana e dalle seduzioni del mondo. Dall’orgoglio e dalla presunzione di poter fare a meno di te. Dagli inganni della paura e dell’angoscia. Dall’incredulità e dalla disperazione. Dalla durezza di cuore e dall’incapacità di amare. Da tutti i mali che affliggono l’umanità. Salvaci dalla fame, dalla carestia e dall’egoismo. Dalle malattie, dalle epidemie e dalla paura del fratello. Dalla follia devastatrice, dagli interessi spietati e dalla violenza. Dagli inganni, dalla cattiva informazione e dalla manipolazione delle coscienze». E ancora: «Guarda la tua Chiesa, che attraversa il deserto. Guarda l’umanità, atterrita dalla paura e dall’angoscia. Guarda gli ammalati e i moribondi, oppressi dalla solitudine. Guarda i medici e gli operatori sanitari, stremati dalla fatica. Guarda i politici e gli amministratori, che portano il peso delle scelte».

Ecco: «La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio.Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare». Le ultime parole, prima delle preghiere e della benedizione «alla Città e al Mondo», sono un’invocazione: «Cari fratelli e sorelle, da questo luogo, che racconta la fede rocciosa di Pietro, stasera vorrei affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute del suo popolo, stella del mare in tempesta. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: «Voi non abbiate paura». E noi, insieme a Pietro, «gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi”».

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