Coronavirus, i nostri dati solo per salvarci. E poi per uscire dalla crisi
di Vittorio Colao25 mar 2020
Usare dati personali per fronteggiare il Coronavirus è pericoloso per il futuro della democrazia e dei diritti individuali. Lo ha sostenuto sul Financial Times Yuval Harari – autore di bestseller globali come Sapiens e Homo Deus – che vede con preoccupazione la tentazione di ricorrere alla tecnologia per fronteggiare il virus, legittimando oggi strumenti di sorveglianza sociale che potrebbero domani diventare permanenti. Harari preferirebbe che i dati fossero utilizzati individualmente dai cittadini per autotutelarsi, senza aprire la porta alla gestione degli Stati che – come Israele, dove vive – potrebbero scavalcare il Parlamento e dare accesso all’intelligence dell’esercito a tutti i dati privati.
Pensando prima al breve termine e non al nodo democratico di lungo termine, sono convinto che non utilizzare dati individuali per fronteggiare la crisi Coronavirus e soprattutto per uscire in maniera controllata, efficiente e sicura dal lockdown sarebbe un errore per l’Italia e l’Europa intera. Eclissata rapidamente la soluzione britannica dell’immunità di gregge, tutti i Paesi europei si sono convinti che l’unica strategia che preserva i sistemi sanitari e permette di ridurre le vittime è quella del blocco immediato – con le chiusure e la distanza sociale – seguito da fasi di «allentamento guardingo» delle misure di soppressione, pronti a reintrodurle se i focolai riprendono. Una strategia chiamata di «martello e danza»: martellare subito il virus chiedendo alla popolazione di stare a casa; alternare azioni selettive quando i contagi scendono, intervenendo rapidamente con azioni mirate geograficamente, per tipo di popolazione e per settori di attività, sulla base del rischio di contagio.
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