Coronavirus, non c’è tempo da perdere e soprattutto non c’è da fidarsi dell’Ue

Parole distillate (secondo lo stile di questa Presidenza) ma assai chiare che dovrebbero far drizzare le orecchie a chi ha il compito non solo di governare l’emergenza sanitaria ma di non far cadere il Paese nel baratro dell’emergenza sociale che metterebbe a rischio la tenuta democratica (e non solo economica) del sistema.

Sì perché la vera questione oggi si chiama “tenuta sociale”: gradino di non ritorno per ogni sistema economico e politico.

Quindi al di là delle scaramucce con le Regioni (se l’epidemia sarà governata, lo sarà per tutti ed ogni sforzo anche locale, se motivato da ragioni di evidente opportunità, dovrebbe essere sempre ben accetto da ogni Esecutivo), il compito del Governo è adesso, dopo aver messo a regime la macchina anti-virus, quello di mettere testa ai provvedimenti che servono subito (anzi servivano ieri ma non vi erano le possibilità) al Paese.

Tempo non c’è. Appena si spengeranno i riflettori sull’emergenza tutto sarà come prima ed addio sogni di gloria! Sperare in un dopo emergenza è una pia (e colpevole) illusione.

Lasciamo perdere i rituali burocratico-politici delle informative (domani è prevista la comunicazione del Presidente del Consiglio alle Camere sull’emergenza sanitaria) e si apra da subito un tavolo interparlamentare di lavoro per dare al Paese, in una settimana massimo dieci giorni, le riforme strutturali urgentissime di cui si è molto parlato (e studiato) in passato. Quelle riforme che costano miliardi e che in tempo “di pace” l’Italia non può e non potrà permettersi.

Basta ragionare in modo rutinario. Da questa prova l’Italia o esce rivoluzionata o rischia di non uscire. Bene le misure d’emergenza. Ma ora basta!

Ciò che serve SUBITO è mettere mano alla riforma madre di ogni altra riforma: la riforma fiscale che abbia tre obiettivi semplici e chiari: lasciare nelle tasche di cittadini e delle imprese molti soldi in più (ciò servirebbe fra l’altro da volano di attrazione per imprese straniere togliendo all’Italia lo sventurato orizzonte di terra di conquista a buon mercato), ampliare la base imponibile rendendo non conveniente l’evasione (un patrimonio stimato in 120 miliardi di euro) e mantenere -nel medio periodo- il sistema in equilibrio.

Una riforma connessa a doppio filo con il rafforzamento del nostro stato sociale come al potenziamento del sistema produttivo.

Perdere questa occasione avrà solo un significato: non voler bene all’Italia!

AFFARITALIANI

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