Coronavirus, perché lo Stato non può fermarsi



Per assicurarne il rispetto nei servizi pubblici essenziali, trent’anni fa, una legge limitò uno dei diritti costituzionali, quello di sciopero. Quando al mondo c’erano i re, si diceva che il re non muore mai: può morire la persona fisica, non quella mistica. Uno dei più grandi storici tedeschi, Ernst Kantorowicz, ha illustrato questo con l’immagine dei due corpi del re, uno naturale soggetto a morte, l’altro mistico, innaturale, che non muore mai. Persino quando il bilancio degli Stati Uniti non viene approvato e termina l’esercizio provvisorio, la lampada della Statua della Libertà viene spenta, il Presidente ordina agli impiegati dei ministeri di abbandonare gli uffici e questi vengono chiusi, il centro di Washington si svuota (è accaduto più volte, una di queste per quasi un mese), lo Stato non chiude i battenti, perché rimangono in attività organi costituzionali, forze armate e dell’ordine, servizi essenziali.

Ci troviamo ora in una di queste giunture critiche. Gli organi costituzionali, gli apparati della difesa e dell’ordine pubblico, le persone addette ai rapporti con l’estero, chi gestisce i servizi essenziali (trasporti, elettricità, comunicazioni), il circuito dell’informazione (giornali, radio, televisione, edicole), per non parlare di quelli che sono in prima linea, gli operatori sanitari, indipendentemente dalla natura pubblica o privata, fanno parte di quel nucleo essenziale senza del quale non solo lo Stato stesso, ma la società tutta intera non potrebbero sopravvivere. Tra questi, in prima fila, il Parlamento, che quella società rappresenta, e che è alla difficile ricerca di un modo per coniugare il rispetto del diritto alla salute dei suoi membri e il dovere di far sentire la voce della società nelle istituzioni. «Voi che vivete sicuri/nelle vostre tiepide case» (per ripetere le parole di Primo Levi) non potete dimenticarlo.

CORRIERE.IT

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