Coronavirus, in Lombardia oltre 700 in terapia intensiva. Gallera: «Vicini a punto di non ritorno». Polemiche sulle mascherine: «Sono stracci»

Non solo perché nonostante tutto il sistema lombardo riesce a tenere di fronte a ogni nuova ondata, ma anche perché negli ospedali, tra pubblico e privato, si è riusciti a recuperare in venti giorno 376 nuovi posti di terapia intensiva.

A metà febbraio, prima della scoperta del focolaio a Codogno, in Lombardia c’erano 724 letti di rianimazione. Tutti dedicati a ictus, infarti, incidenti stradali, terapie post operatorie. Oggi l’emergenza ha portato il numero a 1.100 (+10 nelle ultime 24 ore), 890 dei quali dedicati solo a malati Covid-19. Uno sforzo «incredibile», sottolinea Fontana: si utilizzano i corridoi, le sale operatorie, le camere di risveglio. Qualsiasi soluzione sia utile per ricavare anche un solo posto letto in più. L’assessore al Welfare Giulio Gallera (che ha criticato la Protezione civile per le mascherine inviate per gli operatori sanitari lombardi, definite«panni per pulire per terra, meno solide della carta igienica») ha detto che «sono almeno 7 giorni» che arriviamo a fine serata con «15-20 letti liberi. Tra poco arriviamo a un punto di non ritorno».

Che la situazione sia critica lo dicono i numeri: i ricoverati in terapia intensiva in Lombardia sono 732, dieci giorni fa erano 244. Il dato dei positivi non cala – 11.690 (+1.870), 966 le vittime(+ 76) – per questo la preoccupazione è fortissima. A questo ritmo, senza nuove strutture la saturazione è vicina. Dall’inizio dell’epidemia sono stati trattati in terapia intensiva 1.064 malati: 149 sono stati dimessi, altri 145 però non ce l’hanno fatta.

A dare un sospiro di sollievo dal San Raffaele arriveranno presto 14 nuovi posti di rianimazione in una tensostruttura che il gruppo San Donato ha realizzato con le donazioni private. Quasi 4 milioni raccolti da 191 donatori (da 92 Paesi) nella campagna lanciata da Chiara Ferragni e Fedez. Tra le aree più critiche resta la Bergamasca (80 posti di rianimazione) ma è difficile trovare un ospedale fuori emergenza. Si naviga a vista, anche grazie ai trasferimenti di pazienti (92) dagli ospedali più congestionati a quelli meno «caldi» e alle Rsa, ormai trasformate in buona parte in centri Covid-19. La crisi è legata a due fattori: le apparecchiature tecniche e il personale. La Regione ha chiesto alla Protezione civile la fornitura di respiratori da destinare all’ospedale da 500 posti che si vorrebbe allestire in Fiera: «Noi abbiamo messo la sede, nessuno è in grado di fornirci né medici né ventilatori», chiosa Fontana.

Sul fronte del personale sono 1.600 i sanitari che hanno risposto all’appello della Regione. Ne sono già stati valutati 692: 68 medici specialisti, 137 specializzandi, 74 appena laureati (che saranno abilitati d’ufficio) e 323 infermieri. «Molti però rinunciano – spiegano dalla Regione -, così si creano ulteriori ritardi». I numeri restano insufficienti per fronteggiare l’emergenza. Per questo si è deciso di aprire personale straniero da Venezuela, Cuba e Cina: «Saranno superati problemi di equipollenza e abilitazioni, potranno lavorare da subito».

CORRIERE.IT

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