Ecco come Michael Bloomberg ha speso mezzo miliardo in pubblicità per «comprarsi» la Casa Bianca

Nato in Massachusetts, Bloomberg ha ottenuto un Mba ad Harvard. Dopo aver lavorato per 15 anni nella banca d’investimento Solomon Brothers, oggi parte di Citigroup, con i 10 milioni di dollari ricevuti come buonuscita ha fondato nel 1981 una società di informazione finanziaria: la Bloomberg LP, che ad oggi ha venduto circa 325 mila abbonamenti in tutto il mondo e ha ricavi per 10 miliardi di dollari. Ha circa 20 mila dipendenti e pubblica anche un sito di news generalista e una rivista, Bloomberg Businessweek, entrambi molto influenti. Dal 2002 al 2013 è stato sindaco di New York: in quei dodici anni aveva lasciato l’incarico in azienda, e se venisse eletto presidente sostiene che la venderà.

Quanto sta spendendo nella propria campagna elettorale

Oggi Bloomberg, 78 anni, è il nono uomo più ricco del mondo e ha un patrimonio netto di 61,9 miliardi di dollari, che sta usando per finanziarie da solo la sua campagna elettorale. Secondo i dati della Federal Election Commission, fino al 31 gennaio ha versato al suo comitato elettorale 464 milioni e ne ha spesi 409. Per farci un’idea, Trump nel 2016 investì di tasca propria 66 milioni e con le donazioni arrivò a un totale di 333 milioni per tutta la campagna elettorale, mentre Hillary Clinton raccolse 563 milioni. Le intere presidenziali, secondo un’analisi del Center for Responsive Politics, costarono a tutti i candidati 1,5 miliardi.

Come sta investendo i soldi

Gran parte dei 409 milioni li ha investiti in pubblicità e in uno staff da oltre 2.000 persone, il più ampio fra i candidati. Secondo i dati raccolti dalla società Kantar Media, che traccia le spese pubblicitarie, a metà febbraio Bloomberg aveva speso 254 milioni in spot televisivi e radiofonici – di cui 156 solo negli Stati in gara al Super Tuesday – e 47 su Facebook e Google. Proprio su Facebook, nelle prime sei settimane del 2020, i suoi spot sono comparsi 1,6 miliardi di volte nei newsfeed degli utenti sulle 2,4 miliardi totali di tutti i candidati: insomma, si è comprato il 69% dello spazio.

Oggi Bloomberg, 78 anni, è il nono uomo più ricco del mondo e ha un patrimonio netto di 61,9 miliardi di dollari, che sta usando per finanziarie da solo la sua campagna elettorale A questo si aggiunge la spesa per la società Hawkfish, che ha creato nel 2019 per gestire le operazioni digitali della campagna elettorale: 25,7 milioni versati fra fine novembre e fine gennaio, e 270 persone impiegate. La spesa pubblicitaria è incentrata in California (41 milioni), Texas (33 milioni) e Florida (30 milioni). Sono i tre Stati che, insieme a New York, assegnano più delegati: la California 416 sui 1.991 necessari per ottenere la nomination, il Texas 228 e la Florida — dove si vota il 17 marzo — 219. Negli Stati più piccoli che voteranno nel Super Martedì, come Maine e Oklahoma, Bloomberg ha invece saturato il mercato, non lasciando spazio agli avversari, come ha spiegato a Mother Jones Steve Passwaiter, general manager della divisione politica di Kantar Media.

I candidati e i Super Pac

La sua capacità di spesa limita anche il ruolo dei Super Pac, i controversi comitati di azione politica nati dopo una sentenza della Corte Suprema del 2010, e che possono finanziare senza limiti i candidati a patto che non siano coordinati con le campagne elettorali. Gran parte dei candidati ha rifiutato apertamente l’aiuto dei Super Pac e delle grandi corporation per motivi etici: in particolare Bernie Sanders ed Elizabeth Warren, che hanno fatto campagna per limitare l’influenza dei grandi donatori sulla politica e promesso di affidarsi alle piccole donazioni degli elettori. Finora gli unici ad aver ricevuto l’aiuto di alcuni Super Pac erano Joe Biden e Pete Buttigieg: il primo ha ricevuto a gennaio il sostegno finanziario del Super Pac United the Country, che ha raccolto (e speso) 4 milioni per la sua campagna; il secondo ha potuto contare sul supporto di VoteVets, che ha mandato in onda spot per 2,1 milioni di dollari. A febbraio, però, Warren ci ha ripensato, accettando l’aiuto di Persist Pac, che ha speso 1 milioni di dollari in spot televisivi in Nevada.

Quanto hanno in cassa gli altri candidati

Sanders, al momento il grande favorito, ha ricevuto donazioni da 1,4 milioni di persone nel 2019. Secondo i dati della Federal Election Commission, dall’inizio della campagna al 31 gennaio ha raccolto 134 milioni e ne ha spesi 121. Altri 46 li ha raccolti a febbraio. Elizabeth Warren ne ha messi insieme 93 milioni da 892 mila donatori, di cui 90 già spesi e ha dovuto chiedere un prestito per proseguire la campagna, poi a febbraio ha raccolto altri 29 milioni. Pete Buttigieg che domenica si è ritirato — ha ricevuto 82 milioni da 741 mila persone e ne ha spesi 76; Joe Biden è a 69, di cui 62 spesi, da 451 mila finanziatori e a febbraio ha ricevuto 18 milioni. Amy Klobuchar era a 34 milioni da 227 mila donatori, di cui 31 già spesi, ma lunedì sera si è ritirata anche lei. A parte Bloomberg e l’altro miliardario Tom Steyer — che ha pagato 193,6 milioni di tasca propria, di cui 37 milioni andati in spot per il Super Tuesday, finendo per ritirarsi senza aver ottenuto risultati — tutti i candidati hanno speso parecchi soldi nei primi quattro Stati e sono rimasti a corto per affrontare i costosi mercati pubblicitari del Super Tuesday: mandare un’onda una settimana di spot a Los Angeles costa circa 3 milioni di dollari. Al 31 gennaio Sanders aveva in banca 16,8 milioni, Biden 7,11 milioni, Buttigieg 6,6 milioni, Klobuchar 2,8 e Warren 2,3. Bloomberg invece aveva ancora 55 milioni, e potrebbe facilmente versarne di più.

Chi li ha finanziati

Secondo i dati di OpenSecret — che tiene il conto dei soldi ricevuti da ogni candidato — i principali finanziatori di Sanders e Warren sono i dipendenti della University of California, di Alphabet (che vuol dire Google), poi Amazon, Microsoft, Apple, la compagnia telefonica At&T, Walmart. Poi ci sono Buttigieg, che prima di ritirarsi domenica sera ha raccolto fondi nei grandi studi di avvocati, nel mondo dell’istruzione e nei settori finanziario e sanitario; Biden, anche lui finanziato da avvocati e dal settore finanziario, ma anche dagli imprenditori immobiliari e dai Vigili del Fuoco; e infine Amy Klobuchar, che andava forte fra gli avvocati e ha ricevuto donazioni dai dipendenti dell’università del suo Stato, il Minnesota.

Quanto hanno speso in pubblicità

Finora, i principali candidati hanno speso in pubblicità meno di un decimo di Bloomberg: secondo gli ultimi dati di Kantar Media, Bloomberg ha speso 501 milioni di dollari al 28 febbraio, mentre Sanders 50, Buttigieg 35, Warren 24, Klobuchar 16 e Biden 14. Quest’ultimo però ha raccolto 10 milioni in 48 ore dopo la vittoria in South Carolina di sabato e li sta investendo in spot per il Super Tuesday. La differenza è che ognuno di loro deve raccogliere donazioni, mentre Bloomberg paga tutto di tasca propria. E — come ha raccontato l’ex candidato Andrew Yang citando un suo finanziatore, e come hanno confermato anche diversi media — chiede ai donatori degli avversari di non dare più soldi ai candidati, ma di spenderli contro Trump. Insomma, cerca di togliergli l’ossigeno.

Bloomberg si sta comprando la presidenza?

Il risultato si vede nei sondaggi. Se fino a dicembre Bloomberg non veniva neanche rilevato, con la spesa sono cresciuti anche i suoi numeri: in California l’ex sindaco newyorkese è quarto; in Texas è terzo e continua a crescere. Come dimostra il ritiro di Steyer, però, i soldi aiutano ma non bastano a giustificarne i sondaggi. La crescita di Bloomberg, infatti, è cominciata dopo il fiasco di Biden in Iowa e New Hampshire: in una corsa in cui i moderati sono deboli, l’ex sindaco si sta pagando la propria scalata. Resta da vedere se bastano i soldi per fermare la corsa di Sanders e «comprarsi» la presidenza.

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