L’animale sociale rivuole la sua vita

Ma anche il nostro tempo libero è fatto di cene, cocktail, pranzi, caffè consumati insieme per far quattro chiacchiere, è un vortice di relazioni sociali, anche quando sarebbero inutili, e perfino quando non sono così piacevoli, e lo facciamo per dovere sociale, per ipocrisia sociale o per ambizione sociale. Per non parlare della parte culturale della «vita di sempre». Mostre, teatri, cinema, presentazioni di libri. In tutt’Italia, dalle metropoli alla provincia, comuni, fondazioni, associazioni culturali, istituti scolastici, Università, organizzano una trama di incontri sempre affollati, perché nemmeno la tv è tutto nella vita della gente, settimana di Sanremo a parte, e il ritmo di disdette e cancellazioni di questi giorni dà il senso di una sconcertata emergenza.

Tutto questo è una ricchezza dell’Italia. È uno stile di vita, che di solito viene esaltato come abitudine al contatto umano, dimestichezza con la dimensione sociale dell’esistenza, che ci deriva dall’epoca comunale, con le sue piazze grandi davanti al broletto o alla cattedrale, e forse ancora prima, dal foro romano, sede di commercio e pettegolezzi e naturalmente di politica, il più importante dei pettegolezzi. Non siamo fatti per lo studio on line nelle università telematiche, e anzi molte ricerche dicono che la concentrazione fisica di cervelli, l’insegnamento «frontale», è essenziale per l’apprendimento, per la ricerca, per la scoperta, per l’intelletto. Per questo la chiusura delle scuole e degli atenei è, tra tutte, la più angosciante delle misure fin qui prese, perché gli «studia humanitatis» li abbiamo inventati noi, insieme al titolo di «universitas».

Oggi questa nostra storica ricchezza è anche la via sicura del contagio, soprattutto quando non si sa più chi lo porta, perché in un ospedale, il luogo che dovrebbe essere il più sicuro di tutti in quanto a virus, se ne è perso il filo. Ma dubito che le strade dei nostri paesi e città potranno mai trasformarsi nello scenario distopico di un film catastrofista di Hollywood. La civiltà comunale conobbe la peste del ’300, importata forse dal nord della Cina, e le sopravvisse. Il nostro stile di vita produrrà gli anticorpi necessari. Rispettare le regole e le indicazioni dell’autorità è giusto e necessario. Ma per alzare la testa, non per piegarla, e riprendere la nostra «vita di sempre» al più presto possibile.

CORRIERE.IT

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