Perché il coronavirus si è diffuso così rapidamente nel Nord Italia?

All’ospedale di Schiavonia, dove appunto è avvenuto il primo dei due decessi, finora nessun operatore sanitario risulta contagiato, ma l’ospedale sarà svuotato dopo che il primo paziente deceduto è rimasto ricoverato per dieci giorni. Per nessuno era stato sospettato un contagio da coronavirus. Al paziente di Schiavonia il tampone è stato fatto appena poche ore che morisse. «Non è un problema di quantità di test. Ci sono state situazioni in cui non si è stati in grado di riconoscere immediatamente i sintomi del virus» ha aggiunto Borrelli che sottolinea come non sia stata una «colpa» dei medici, quanto una «difficoltà» ad individuare i sintomi. «Quello che è successo in Italia è un caso da manuale in cui una o più persone vengono contagiate da chi arriva da un luogo di epidemia, e poi ci sono dei contagiati secondari con lo stesso tempo di incubazione » ha spiegato Walter Ricciardi, docente di Igiene alla Cattolica e membro del Consiglio esecutivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. «Inoltre, quando vengono contagiati i medici significa che non si sono messe in campo le pratiche adatte, oltre al fatto che il virus è molto contagioso».

Il coronavirus non circolava

Del resto il coronavirus in Italia fino a pochi giorni fa non circolava. Nessuno dei pazienti era mai stato in Cina, e neppure risultavano contatti con persone rientrate dalla Cina. «Le manifestazioni cliniche dei ricoverati erano quelle dell’influenza: non si è pensato al coronavirus semplicemente perché in Italia non era mai stato segnalato se non per i due turisti cinesi ricoverati allo Spallanzani» giustifica Fabrizio Pregliasco, virologo e ricercatore del Dipartimento di scienze biomediche per la salute dell’Università degli studi di Milano. «Le diagnosi differenziali vengono eseguite quando c’è attenzione su un particolare patogeno, cose che appunto fino a pochi giorni fa non c’era». Non vengono neppure messi in atto protocolli di protezione particolari per i medici che assistono pazienti malati di influenza e questo ha permesso un’accelerazione alla diffusione del contagio perché gli operatori sanitari non erano evidentemente protetti in modo adeguato. «Medici e infermieri hanno un rischio maggiore di contagio perché hanno una vicinanza prolungata con il paziente, talvolta devono anche mettere in atto manovre invasive» aggiunge Pregliasco.

L’Italia (quasi) come la Cina

L’Italia ha vissuto la stessa situazione della Cina: si è trovata di fronte a un nuovo virus. Vero, se ne parlava da un mese, ma nessun caso secondario, come detto, era mai stato segnalato. «La differenza è che la Cina ha tentennato un bel po’ prima di comunicare al mondo l’esistenza del nuovo virus mentre l’Italia ha messo a disposizione i dati in modo istantaneo» precisa Pregliasco che aggiunge: «Identificando casi gravi in Italia è stata trovata la punta dell’iceberg dell’infezione e da lì si è andati in profondità con centinaia e centinaia di controlli. L’Italia ha cercato in modo attivo, attraverso i tamponi, gli eventuali altri contagiati con controlli a tappeto. Non escludo che nel resto d’Europa non siano emersi tanti casi come nel nostro Paese perché, non essendoci stati casi gravi, potrebbero non essere state svolte verifiche accurate come è successo da noi».

CORRIERE.IT

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