Coronavirus impone maxi-test mondiale sullo smart working. De Masi: “In Italia c’è una resistenza patologica”

Visionario e apripista, De Masi da tempo è pronto a scommettere sullo “smart working”, anche se le sue aspettative sono state deluse: “Già quarant’anni fa, quando creai la SIT, la Società Italiana Telelavoro, ero convinto che dì lì a poco il telelavoro si sarebbe affermato nella nostra società come metodo di lavoro principale. All’epoca non c’era Internet, ma c’era il telefono: credevo che con il telefono si potessero svolgere diversi lavori senza necessità di recarsi in ufficio. Mi illudevo che, essendo una cosa razionale, il telelavoro si sarebbe affermato subito. E invece no”.

Nel 2019 erano 570mila i “lavoratori agili” in Italia, in crescita del 20% rispetto al 2018: è quanto riporta uno studio condotto dall’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano. Ma, stando ai dati dell’Eurostat, il nostro Paese è ancora sotto la media europea per utilizzo dei vantaggi forniti dalla tecnologia. “In Italia c’è una resistenza al cambiamento che definirei patologica – sostiene il professore -. Non riusciamo ad abbandonare l’idea di dover per forza lavorare da un’altra parte, di doverci spostare da casa per raggiungere l’ufficio. Questa abitudine si è consolidata nel corso dei duecento anni di società industriale. Prima dell’avvento dell’industria, si lavorava a casa: il medico lavorava a casa, l’avvocato lavorava a casa, anche l’artigiano lavorava a casa. Poi è arrivata l’industria, con le sue macchine potenti e fragorose e gli operai hanno iniziato a spostarsi per raggiungerle. L’andirivieni tra casa e lavoro si è così insediato nella nostra mentalità e persiste tuttora, anche se viviamo in un’epoca in cui la maggior parte dei lavori potrebbe facilmente essere svolta da remoto”. “Ovviamente non tutti i lavori si possono ‘telelavorare’: il pompiere deve correre dove è l’incendio, il chirurgo deve stare in sala operatoria, il cassiere deve essere sul posto. Ma il 60%-70% della popolazione svolge un lavoro da ‘impiegato’, ovvero manipola informazioni che grazie a telefono e Internet potrebbero essere trasferite da un posto all’altro a costo zero, senza bisogno di recarsi ogni giorno in un luogo fisico diverso dalla propria abitazione. Penso, ad esempio, a tutte quelle persone che lavorano nei Ministeri: potrebbero benissimo farlo da casa, dal bar, dalla spiaggia”.

“Ormai ci siamo assuefatti a questo modo di lavorare, siamo talmente abituati a fare chilometri ogni giorno per raggiungere il lavoro che la possibilità di non farlo ci sembra impensabile – aggiunge -. Abbiamo imparato a dividerci tra due luoghi principali: la casa, in cui tornare a dormire, e il posto in cui lavoriamo. A questa visione ‘distorta’ contribuisce anche la mentalità dei capi: con il lavoro da remoto non è possibile controllare il lavoratore momento per momento mentre lavora, ma solo esaminare il risultato finale. Questo per alcuni capi è inaccettabile: hanno quella che io chiamo la ‘sindrome di Clinton’, abituato ad avere la stagista sempre pronta nella stanza a fianco. Ecco, molti boss italiani ragionano allo stesso modo: vogliono avere i dipendenti sottocchio, non si fidano. Nel telelavoro invece non conta il processo, ma l’obiettivo: non importa se il dipendente preferisce lavorare di notte, al mattino presto, prendersi poche o tante pause. L’importante è che porti a termine il suo compito nel migliore dei modi”.

I benefici sono molteplici: “Lavorare da remoto ha talmente tanti vantaggi che, se ci riflettiamo bene, semplicemente dovremmo prendere e dire ‘ok, da domani lavoriamo tutti da casa’ – continua De Masi -. Prima di tutto, c’è un risparmio notevole di tempo e di soldi. Basti pensare al tragitto che si fa per andare al lavoro: lavorando da casa non si spreca tempo, non si sprecano soldi per la benzina, per l’autostrada, diminuisce la possibilità di incorrere in incidenti. La città è più libera, meno inquinata, si riduce il traffico. Oltre ai vantaggi per l’ambiente, ci sono poi quelli per le aziende: ovviamente se i dipendenti lavorano da casa, le aziende non avranno bisogno di affittare grossi spazi e spendere in questo modo le proprie risorse. Non ci sarà bisogno di sprecare aria condizionata, di allestire le mense per i lavoratori, etc”.

Vantaggi ci sono poi anche dal punto di vista psicologico: “Nel corso del tempo, per scoraggiare questa pratica, si sono diffuse molte fake news, come quella che vede chi lavora da casa ‘isolato’ dal resto del mondo. Non è così: chi lavora da remoto può svolgere il suo lavoro in tutta tranquillità e concentrazione senza perdersi in chiacchiere inutili, può scendere al bar sotto casa per un caffè, parlare con gli altri, rapportarsi con le persone senza essere costretto a passare del tempo con gente che non ha scelto”.

In Cina – favorita anche dal coronavirus – si sta diffondendo sempre di più la cosiddetta “homebody economy”, un tipo di economia “da casa” che va dal telelavoro ai crescenti servizi di streaming on demand, dallo shopping online, dalla consegna diretta di cibo e altri prodotti a domicilio all’offerta didattica e ai corsi di formazione su Internet. Ma qual è la situazione in Italia? Possiamo davvero immaginare una società del futuro in cui in larga parte si lavori da remoto? Secondo il professor De Masi, sì: “Siamo in ritardo rispetto ad altri Paesi – afferma – basti pensare che la percentuale di chi lavora da casa qui è intorno al 3%, in Olanda si attesta al 40%. Però lentamente la cultura dello smart working si sta affermando. Certo, ci vuole più coraggio da parte delle aziende per far sì che il telelavoro diventi il modus operandi principale. È inutile adottare soluzioni a metà, come consentire al dipendente di lavorare alcuni giorni da casa e alcuni giorni in ufficio: in questo modo non si liberano posti, i vantaggi non sono ‘tangibili’. È necessario lasciarsi andare al cambiamento, credere in una società in cui lavorare da remoto non venga più visto come un lusso e chi lavora da casa non venga più giudicato un fannullone o un ‘tagliato fuori’”.

L’HUFFPOST

Rating 3.00 out of 5

Pages: 1 2


No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.