Prescrizione, qualcosa è cambiato

Grazie al ministro Bonafede e alla sua legge ci sono novità. Non dico che il vecchio copione sia stato buttato via. Questo no. Ma per lo meno qualcosa è cambiato, soprattutto si sentono battute mai udite in precedenza. La cosa certamente più importante, la vera novità, è che l’apparente (solo apparente, ovviamente) compattezza della magistratura è saltata: sulla prescrizione il disaccordo fra i magistrati è ora alla luce del sole. È come se un ambiente chiuso si fosse aperto improvvisamente al mondo. Pur con la necessaria cautela, possiamo dire che si tratta di un passo avanti, una buona cosa per la nostra vita democratica. Non più un gioco «noi contro loro» ma un pubblico dibattito in cui diventa possibile portare le proprie idee ed esperienze senza preclusioni e senza farsi scudo con le appartenenze professionali. Si era sempre saputo naturalmente che ci sono tanti magistrati — per lo più sconosciuti, poco propensi a pavoneggiarsi in pubblico e ad accumulare «capitale politico» usando le inchieste giudiziarie — che cercano di fare il loro difficile mestiere al meglio delle capacità, che non si credono gli «unti del Signore», che sono consapevoli dei propri limiti e delle proprie imperfezioni (che condividono con tutti gli altri esseri umani), consapevoli anche dei limiti dei loro strumenti professionali, nonché attenti alle sofferenze che la macchina giudiziaria può provocare.

Diversi alti e illustri magistrati, credo anche a nome di quei loro colleghi, sono venuti allo scoperto sul tema della prescrizione manifestando il loro dissenso nei confronti della legge Bonafede e dell’opinione di altri magistrati. Con interventi e interviste dalle quali i non addetti ai lavori, e anche i politici, possono apprendere molto. Questa vicenda della prescrizione, per giunta, sta dando maggiore peso anche agli argomenti degli avvocati penalisti, per lungo tempo ridotti al silenzio dal circo mediatico-giudiziario, trattati più meno come complici dei delinquenti da magistrati che all’Università erano distratti o assenti quando il professore trattava il tema delle garanzie costituzionali.

Queste novità in seno alla magistratura hanno effetti sulla sfera politica. Perché, almeno sul caso della prescrizione, la classe politica non ha l’impressione di trovarsi di fronte a una corporazione giudiziaria compatta e pronta alla guerra. Per conseguenza, essa diventa meno propensa a rinserrarsi entro i vari schieramenti, è più fluida, più libera di dividersi lungo linee trasversali. Certamente in questo momento è Matteo Renzi che, nell’area di governo, guida il fronte degli oppositori alla legge Bonafede. Ma è anche interessante la posizione del Pd. Ci fu un tempo in cui il Pd (al pari dei suoi predecessori, dal Pci al Pds ai Ds) cavalcò ogni giustizialismo, per colpire gli avversari ma anche per «tenersi buoni» i magistrati. Ora le cose sono diverse. Sicuramente, dopo tanti anni di propaganda giustizialista e di conseguente «diseducazione civica», una parte dei militanti e degli elettori di quel partito continua ad essere attratta dalle sirene dell’autoritarismo giudiziario. Ma sembra proprio che la maggioranza dei parlamentari del Pd sia su altre posizioni. Il loro problema ha ora a che fare prevalentemente con gli equilibri di governo: come neutralizzare la legge Bonafede senza provocare la caduta dell’esecutivo e nuove elezioni? Tutt’altra cosa rispetto ai furori giustizialisti del passato.

Certamente le vecchie cattive usanze non verranno abbandonate. Né da certi settori della magistratura né dalla politica. Non cesserà l’epidemia di inchieste giudiziarie in grande stile che, dopo tanti clamori, furori, e sofferenze, finiscono qualche anno dopo senza nemmeno una condanna. Con gravi danni per la vita collettiva e anche per la democrazia. Non solo fanno vittime innocenti. Continuano anche ad alimentare certe false convinzioni dell’opinione pubblica: per esempio, la convinzione secondo cui la corruzione in Italia sia molto più diffusa di quanto in realtà non risulti alla luce delle conoscenze disponibili. Né cesserà la cattiva abitudine di certi magistrati di usare le inchieste come trampolino per carriere politiche.

Nemmeno la politica si libererà dei propri vizi. I vari raggruppamenti continueranno a fare tutto ciò che possono al fine di ottenere che venga eliminato per via giudiziaria l’avversario che essi si sentono incapaci di battere politicamente. Né scompariranno quelle propensioni illiberali (figlie di un’antica storia e di un’antica tradizione) che sono proprie di molti nostri connazionali, coloro che hanno fin qui avallato con il loro consenso diverse patologie giudiziarie. Però è arrivato, improvviso, un raggio di sole. Finalmente.

CORRIERE.IT

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