Sanremo, tutto sulla prima serata. L’impegno di Rula e l’ironia di Fiorello

Fiorello – sempre un fuoriclasse, questa volta una tacca in meno di altre, capita anche a Messi – prende in giro il conduttore, «il pericolo numero 1, un talento incredibile nel mettersi contro tutti; c’è stata una moria di ospiti, sono scappati via manco fossero elettori 5 Stelle. Qualcuno doveva dargli soccorso: sarò il suo Rocco Casalino». Ha un modo tutto suo di mettere a suo agio il conduttore che realizza «il sogno di una vita, condurre Sanremo»: «Guarda che questi sono gli attimi che precedono la fine della tua carriera, ti leveranno pure I Soliti Ignoti . Hai presente il parente misterioso? Quello diventi».

Quando tocca a Rula Jebreal si cambia completamente registro e il suo monologo è un pugno nello stomaco (anni luce dal compitino sulla bellezza di Diletta Leotta). Gli occhi (non solo i suoi) inumiditi dalle lacrime, racconta la sua storia personale, quella di sua madre, stuprata quando aveva 13 anni, mai creduta e poi morta suicida dandosi fuoco quando Rula aveva 5 anni. Ricorda i numeri drammatici dei femminicidi in Italia, dove nell’80% dei casi «il carnefice ha le chiavi di casa». E alle domande prese dai verbali di interrogatori alle vittime di violenza contrappone testi di canzoni, da Battiato a De Gregori, che esaltano la donna. Avverte che «le ferite sanguinano di più quando non si è credute. Voi – dice rivolta alle donne – non avete nessuna colpa, non dovete avere più paura; uomini lasciateci essere quello che vogliamo». L’ultima frase rimane scolpita: «Chiedetevi come erano vestite le donne a Sanremo, ma non chiedete mai più come era vestita chi è stata stuprata».

C’è anche la gara. Scontri diretti fra i Giovani: passano le proposte più rassicuranti, Tecla e Leo Gassmann. Achille Lauro ha l’effetto sorpresa incorporato: un mantello da imperatore delle tenebre che nasconde una tutina camp di strass effetto nudo: è la sua interpretazione del san Francesco di Giotto che si spoglia del mondo materiale. Diodato rivaluta il concetto di canzone sanremese (ma dentro ha anche i Radiohead); Anastasio è convincente, teatrale, efficace fra Salmo e Rage Against the Machine (che non sono poi così lontani). Ci vuole la voce di Tiziano Ferro, ospite fisso, per reggere la storia di 70 anni di Sanremo, ma non è un robot e sente l’emozione. Con Modugno in versione swing cerca di sciogliersi ma gigioneggia un po’ troppo. Mia Martini lo porta alle lacrime (e come i grandi riconosce qualche sbavatura). Emma si scatena, non solo per le percussioni di «Stupida allegria», raccontando i suoi 10 anni di carriera. Al Bano e Romina fanno karaoke con i vecchi successi e crollano con l’inedita, prima volta dopo 25 anni, «Raccogli l’attimo», fra reggaeton, archi arabeggianti e autotune. Poco elegante verso chi è in gara invitare ospiti (loro e i Ricchi e Poveri questa sera) che portano una canzone nuova: promozione a rischio zero. Sarà più difficile in futuro convincere qualche vero big a rimettersi in discussione.

CORRIERE.IT

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