La prescrizione così com’è rischia di paralizzare la Cassazione. L’allarme del primo presidente Mammone

Cifre difficilmente sostenibili, tenuto conto dei ritardi che la giustizia italiana deve già smaltire. Per Gian Domenico Caiazza, presidente delle Camere penali, dalla relazione di Mammone emerge una prospettiva “paralizzante”. Il primo presidente della Cassazione non usa questi termini, ma sul futuro ammonisce: “Risulta pertanto necessario porre allo studio e attuare le più opportune soluzioni normative, strutturali e organizzative tali da scongiurare la prevedibile crisi”. Dove e come incidere per arginare i danni? Anche sulle indagini preliminari e sull’udienza preliminare in cui, spiega, “si verificano le maggiori criticità che determinano la dispersione dei tempi e la maturazione della prescrizione”. Nella “grande maggioranza dei casi – si legge ancora nella relazione – la prescrizione continua a maturare nella fase delle indagini preliminari e viene dichiarata dal gip con provvedimento di archiviazione (42,7% nel 2018): le ragioni di tale fenomeno derivano essenzialmente dalla limitata possibilità di esercizio dell’azione penale e di celebrazione dei processi di primo grado a causa della ridotta capacità di smaltimento del giudizio ordinario”, ricorda, facendo poi riferimento al fallimento dei riti alternativi. “Continuano a mietere una percentuale irrisoria di definizioni”, non riuscendo quindi nel compito per cui sono stati creati: rendere la giustizia penale più veloce. “La scommessa – continua Mammone – è fallita perché l’aspettativa pressoché certa della prescrizione ha reso quella scelta non conveniente, nell’ovvio e legittimo calcolo costi-benefici dell’imputato. Finché la prescrizione sarà non un evento eccezionale causato dall’inerzia della giurisdizione, ma un obiettivo da perseguire, nessun rito alternativo sarà appetibile”.

Nel suo discorso Bonafede prova a tranquillizzare gli animi: “Il confronto (con le anime del governo che non hanno mai sostenuto la sua riforma, ndr) è in corso”. Ma agli avvocati non basta “Ci separa” dal ministro la sua “posizione sulla prescrizione penale”, ha detto il presidente del Cnf Andrea Mascherin. Nel suo intervento alla cerimonia ha osservato che “a prescindere dalle cause e dalle narrative sulla durata del processo penale, di certo non possiamo permetterci l’indeterminatezza dei tempi, sarebbe come se un chirurgo iniziasse l’intervento e poi ci lasciasse sul tavolo operatorio senza poter sapere quando, o se mai, terminerà l’operazione”.

Su questo fronte interviene il Pd, attraverso il suo responsabile del settore Giustizia, Walter Verini: “La relazione del Primo Presidente Mammone e l’intervento del Presidente del Consiglio Nazionale Forense, Mascherin, hanno riproposto, tra l’altro, l’urgenza di una riforma del processo penale che garantisca davvero tempi certi e rapidi ai processi. Ma hanno chiaramente fatto emergere anche tutti i rischi insiti nella riforma Bonafede sulla prescrizione, che non è affatto quel fattore di civiltà di cui ha parlato il Ministro. Per questo, per il Pd, è necessario al più presto portare in Consiglio dei Ministri la riforma del processo penale e insieme giungere – come maggioranza – ad una modifica vera della legge sulla prescrizione, per giungere ad una sintesi che tenga conto delle ragioni serie di tutte le componenti”. E sulla questione interviene anche Giulia Bongiorno, ministro della Pa del governo gialloverde: L’allarme lanciato oggi dal Primo Presidente della Cassazione sugli effetti della riforma della prescrizione è la conferma che quello voluto da Bonafede è un provvedimento devastante per il nostro sistema penale”, afferma.

Al di là delle posizioni dei politici, Il messaggio che arriva dalla Suprema corte è chiaro: senza un’evoluzione del processo penale, la nuova prescrizione serve a poco. Anzi, rischia di fare ulteriori danni all’affaticata macchina della giustizia. Una macchina che, però, sembra aver funzionato meglio nel 2019 rispetto al 2018: “Il numero dei procedimenti penali nei confronti di autori noti è in diminuzione del 4%”, ha spiegato Mammone, prendendo come riferimento il primo semestre dell’anno scorso. Un trend positivo riguarda anche i procedimenti civili, anche per quando riguarda i casi di giustizia tributaria che arrivano in cassazione: “Nel 2019 la quinta sezione ha definito più di 11mila procedimenti un numero mai raggiunto”, ha spiegato ancora Mammone nella sua relazione, pronunciata davanti al presidente della Repubblica, al vicepresidente del Csm David Ermini e alla presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia.

Non solo numeri, non solo riforma del processo penale. C’è una parola che Mammone pronuncia nel corso del suo intervento: è “crisi”. Il riferimento è all’inchiesta della procura di Perugia che nella primavera del 2019 ha fatto vacillare la magistratura italiana e messo in evidenza un sistema di accordi sottobanco per le nomine degli incarichi direttivi conferiti dal Csm. Mammone torna sul tema: “Il mio auspicio è che lo smarrimento provocato da quanto emerso muova la coscienze di tutti di fronte al rischio di delegittimazione che corre l’immagine stessa del Consiglio superiore”. Il fascicolo aperto dai pm di Perugia ha dato l’occasione al governo, allora composto da Lega e 5 stelle, per iniziare a riflettere sulla modifica del sistema elettorale dell’organo di autogoverno delle toghe. Sfumata l’ipotesi, invisa ai magistrati e ai costituzionalisti, del sorteggio, nel disegno di Bonafede si fa cenno a un sistema di 19 collegi – contro il collegio unico nazionale del sistema attuale – con eventuale ballottaggio in nei casi in cui non si raggiunga una maggioranza.

“Le situazioni di opacità derivate da alcuni comportamenti individuali possono essere superate assegnando alle decisioni del Consiglio la massima trasparenza – ha continuato – che può essere ottenuta solo evitando le influenze esterne e le pressioni interessate, privilegiando il dibattito all’interno del plenum , nel rispetto delle procedure e delle regole del comportamento che il consiglio stesso si è dato”.

E sulla necessità di trasparenza è intervenuto anche il vicepresidente del Csm, David Ermini. Alla luce dell’inchiesta sulle nomine, ha sottolineato, “il Csm deve essere consapevole del fatto che la sua azione è ora guardata con attenzione critica e pregiudiziale diffidenza. Sul lavoro futuro non deve scendere alcuna macchia, che sia bandito anche il sospetto che le nomine arrivino nell’ambito di logiche spartitorie”. Le sue parole sono rivolte all’istituzione, al completo da dicembre dopo due suppletive dovute alle dimissioni di cinque togati, ma anche ai singoli magistrati. E a loro chiede tre cose: “Serietà, compostezza e riserbo”.

L’HUFFPOST

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