Matteo Salvini, la fine della monarchia

A via Bellerio, manco a dirlo, ufficialmente sono tutti con l’ex ministro dell’interno e nessuno osa pubblicamente mettere in discussione una leadership che ha consentito al fu Carroccio di veleggiare ora al 30 per cento di media nazionale. Trattasi di un partito leninista.  Poi però ci sono i mugugni, i punti sulle i, che vengono a galla una volta che ci si ritrova davanti alla prima sconfitta vera, definitiva. E all’errore di aver reso il match emilian-romagnolo un referendum su sé stesso. Eccolo allora il fronte interno. Quando i taccuini si chiudono alcuni uomini vicini a Giancarlo Giorgetti confidano che occorrerebbe aprire una riflessione per gli errori commessi nel corso di questo ultimo mese e mezzo. Dal citofono alla drammatizzazione sul caso Gregoretti. Una propaganda che ha spaventato l’elettorato moderato dell’Emilia Romagna.

Eppure c’è chi assicura che la resa dei conti si celebrerà al consiglio federale di venerdì quando qualcuno proverà a sollevare il polverone, cercando di far riflettere un leader abile a non passare la palla e a prendere qualsiasi decisione confrontandosi con la famosa Bestia di Luca Morisi. Ad esempio, i nodi su cui ragionano alcuni fedelissimi dell’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio rimandano non solo alla debolezza di una candidata, Lucia Borgonzoni, “attorno alla quale bisognava almeno mettere in piedi una squadra più forte”, ma soprattutto alla selezione della classe dirigente. “Ad oggi la Lega non è strutturata per andare oltre il 34 per cento, ma con il 34 per cento non si va da nessuna parte perché si governa con il 50 per cento più”. E per arrivare a quel numero non solo è necessario riconsiderare gli snobbati alleati Meloni e Berlusconi, che gli hanno consentito di vincere un’altra regione, la Calabria. Dove primeggia appunto Jole Santelli, la fedelissima del Cavaliere, grazie al traino di una ritrovata Forza Italia e a una serie di liste civiche di stampo moderato. Stando alle osservazioni che giungono da alcuni leghisti, “Matteo dovrebbe fermarsi, coinvolgere il gruppo dirigente nelle decisioni, abbassare i toni per intercettare quel mondo di centro che oggi ci manda e ci è mancato alle regionali in Emilia Romagna”. In sintesi, parlare ai moderati.

Da qui in avanti se la dovrà vedere con un fronte interno che parla sottovoce ma comincia a rumoreggiare e con un fronte esterno, coalizionale, ringalluzzito dalla performance calabrese. “Il modello è quello calabro”, spiega Ignazio Larussa, fedelissimo della pasionaria di Fratelli d’Italia. “A sua tempo Giorgia aveva fatto delle obiezioni sulla Borgonzoni”. E allora qual è la strategia per provare a vincere le sei regioni che torneranno al voto in primavera? Di certo, gli alleati  chiedono di sedersi al tavolo e discutere ogni singolo candidato. Non ci saranno più profili imposti da via Bellerio. D’altro canto, insiste Larussa,  “resta il dubbio nel caso dell’Emilia Romagna che con una campagna elettorale meno esposta a livello del binomio candidato/partito di appartenenza e di certe esternazioni forse il trend sarebbe stato diverso. Non recrimino sul passato, ci serva da valutazione del futuro”. Insomma, gli alleati oggi battono i pugni. Non accettano la monarchia salviniana. Ma ora tocca solo comprendere se l’ex ministro dell’Interno ha imparato la lezione, o se continuerà a ballare da solo. Questa volta, però, senza più la corona.

L’HUFFPOST

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