All’ultimo voto

Vincere e vinceremo. “Io sento profumo di vittoria e ve lo dico venendo dalla Liguria”, sorride il governatore Giovanni Toti. “Noi abbiamo già vinto”, ripete l’ex direttore del Tg4, “la nostra è una coalizione unita dalle idee, la loro dal pensiero unico”. E si torna al comunismo, alla rossa Emilia-Romagna, a Peppone e Don Camillo, alle cooperative rosse, al sindacato rosso, e via discorrendo. “Questa deve diventare una regione dove lavora non chi ha la tessera giusta, ma chi se lo merita”, si sgola Matteo Salvini, il Capitano leghista osannato dagli ultras della destra locale. “Ho avuto l’onore di stringere la mano a chi mi ha detto: io ero della Cgil, io ero di Rifondazione Comunista, io ero del Pd. Questa è gente che adesso vota la Lega e il centrodestra”, si vanta il leader del fu Carroccio. Di programmi, di nodi da risolvere, di questioni regionali non c’è traccia. Solo slogan a colpi di “Bibbiano” e di “nuovi assessorati alla sicurezza”. “Mandiamo a casa Renzi, Di Maio e Zingaretti: le elezioni non le vinciamo, le stravinciamo”, è l’appello dell’ex ministro dell’Interno.

E se Salvini è ormai il leader di questa coalizione, la sua leadership viene incalzata dalla pasionaria Meloni. “Io sono Giorgia, io sono cristiana, io sono madre…”, rintona il tormentone rap. E tutti ad applaudirla. Lei ormai recita la parte di chi sa di piacere e di chi sa oggi di inviare un messaggio innovativo rispetto alla solita solfa del Capitano. “Si è parlato tanto di citofoni, lunedì andremo a citofonare al premier Conte e gli diremo di lasciare Palazzo Chigi”. “Scegliete il centrodestra, ma non lo fate per interesse. Se votate per interesse scegliete la sinistra che sono i più bravi in materia”.

E poi spunta lui, Silvio Berlusconi, elegantissimo, doppio petto, camicia celeste d’ordinanza, cravatta Marinella, soprabito, inceronato al punto giusto. E anche se il Cavaliere non crede affatto alla spallata – poco prima ha confessato a taccuini chiusi che “dopo questo governo ce ne sarà un altro ma senza votare – ecco qui deve recitare la parte dell’alleato di coalizione. L’incipit del fu leader del centrodestra  è un revival degli anni d’oro: “Voi conoscete cosa è successo in questi ultimi 70 anni”. “Sì,….”, gli risponde la claque in prima fila. “Silvio, via i comunisti”, urla una signora tutta bardata con gadget della Lega. Berlusconi si esalta e inizia a sciorinare il solito ritornello sulle democrazie occidentali, sui comunisti, e via discorrendo. Mentre il Cavaliere parla si sentono i fischi che giungono dalla piazza delle sardine che si trovano a duecento metri da piazza del Popolo. E la candidata di osservanza salviniana? Lucia Borgonzoni sale sul palco per ultima, non ha più la voce. Ma parla, parla, e ancora parla. E riesce comunque a sbilanciarsi: “Siamo avanti”.

In questo spaccato di Ravenna c’è chi, come Franca, impiegata nel privato, non crede alla vittoria del centrodestra: “Le devo dire la verità: Bonaccini ha lavorato bene. I comunisti sono bravi. E’ difficile non votarlo”. Opterà per il voto disgiunto? “Può darsi”, arrossisce quando abbozza la risposta. Non a caso proprio il governatore uscente, ospite di Peter Gomez a “Sono le venti”, fa un appello al voto disgiunto: “E’ una possibilità – assicura. Un voto al M5S e un’altra croce su Bonaccini”. Ed è una preoccupazione quest’ultima che serpeggia all’interno del destracentro. Il sospetto è che anche pezzi di moderati possano alla fine convergere su Bonaccini. “Perché dobbiamo sostituire un presidente di Regione che conosce la macchina, che ci fa svettare in tutte le classifiche?”, si domanda in un angolo di questa piazza, un ravennate, ex democristiano, un passato da tecnico dell’Eni, tentato dal voto disgiunto. “Il voto disgiunto? Sarà a nostro favore”, assicura Giovanni Donzelli, parlamentare di Fratelli d’Italia che sta sempre un passo indietro a Giorgia Meloni. E lo stesso sussurra l’azzurro Alessandro Cattaneo: “Mi sembra di vedere la sfida Fassino-Appendino a Torino, ricordate come è andata finire? Quando un treno passa bisogna prenderlo”. 

Ma dicevamo del voto disgiunto che può essere l’arma della sinistra e di un pezzo di moderati per salvare la regione, il governo e il partito. Mentre il voto della liberazione dal comunismo è il motto di una destra conservatrice a trazione di un leader, Salvini, che vuole cambiare per non cambiare nulla. Semmai, per ottenere i pieni poteri. Buon voto!

L’HUFFPOST

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